Nel 1993 un Istituto di ricerca tedesco inventava un sistema in grado di ridurre sino ad 1/12 le dimensioni di un file audio, dando così il via alla diffusione di quello che oggi tutti conosciamo come ‘formato’ Mp3.
L’escalation del fenomeno Mp3 è stata seguita da tutti soprattutto dopo l’entrata in campo del sito Napster, che permetteva lo scambio di file multimediali tra utenti collegati da qualsiasi parte del mondo.
Dopo una battaglia legale durata circa due anni la domanda che un utente medio di Internet ancora oggi si pone è se la possibilità di scaricare e/o ascoltare file multimediali sia lecita o meno.
Questo soprattutto alla luce dell’attuale proliferazione di siti che consentono ancora oggi di ascoltare (l’accezione generale del termine è voluta) musica tramite la rete.
Gli aspetti preliminari su cui porre chiarezza sono molteplici, ed è questo lo scopo che si prefigge, almeno in modo sintetico, questo articolo.
Innanzitutto sembra di notare che molte volte si faccia una grande confusione tra il problema a sé stante (ossia la disciplina giuridica applicabile alla fattispecie dei file multimediali diffusi in rete) e le diverse normative ad esso applicabili.
Il ‘caso Napster’ è paradigmatico sotto questo aspetto; e la domanda, più volte fatta, “cosa sarebbe successo se fosse successo in Italia?” esemplifica bene quello che si vuole spiegare.
Le normative, siano esse nazionali o comunitarie, hanno avuto molti problemi nell’affrontare i problemi legati al mondo di Internet; questo a prescindere che si trattasse di problemi legati ai file Mp3 o ad altro.
I file Mp3 sono solo un aspetto dei problemi che in futuro ci troveremo ad affrontare; e, parlando di scambio di file musicali tramite la rete e di Napster, non possiamo sottrarci dall’osservare che le soluzioni prese, non solo in campo decisionale, dalle Autorità americane non possano essere paragonate a nessun altra situazione con la quale siamo abituati a confrontarci.
Limitandoci all’Italia, quando parliamo di Napster un qualsiasi operatore giuridico è portato a pensare al suo inquadramento in base alla Legge sul diritto d’autore (N.633/41) ed alle sue successive modifiche ed aggiornamenti, dimenticandosi come il mondo legale americano agisca in modo molto più evolutivo rispetto a quello Italiano (europeo). Tutto ciò sembra quantomeno ovvio confrontando il bacino di utenza di Internet in America e il bacino di utenza in Europa e, sembra altrettanto ovvio come le problematiche che ci troviamo ora a risolvere in Europa sono sorte in America precedentemente, consentendo ai giuristi americani di sviluppare una dottrina che ora noi ci troviamo a studiare e a modellare sulle nostre esigenze.
Questa premessa sembra d’obbligo quando si parla di Napster, e problemi correlati, in quanto pur essendo giusto studiare attentamente questo caso e analizzarne le problematiche sembra altrettanto giusto specificare come il background nel quale questa problematica è sorta sia assolutamente differente da quello nel quale siamo abituati a muoverci[1].
Alla luce di quanto precisato cerchiamo ora di analizzare come il mercato dei file multimediali si sia evoluto dopo la “chiusura” di Napster.
E’ interessante notare come già durante la battaglia legale intentata dalle case discografiche contro Napster, questa venisse acquisita dal colosso discografico BMG, con lo scopo dichiarato di sfruttare il bacino di utenti di Napster fornendo il medesimo servizio dietro il pagamento di un ridotto (5 dollari) canone annuo. Il ragionamento che sta alla base di una tale acquisizione è piuttosto semplice: il sistema Napster (leggi fruizione della musica in rete) rappresenta il futuro, cerchiamo di renderlo legale!
Dietro questa semplice osservazione trovano spazio le più grandi ed elucubrate speculazioni, sia legali che commerciali.
La morte di Napster è stata determinata da un motivo molto elementare: era possibile trovare (almeno) un colpevole; fornendo infatti un indice centrale (ce lo possiamo immaginare come un server centrale di una rete interna, per esempio dei nostri uffici) forniva un capro espiatorio individuabile senza problemi.
Il mondo della rete non ha tardato molto ad evolversi in una direzione che non consenta più l’individuazione del “colpevole” creando un architettura di sistema non più centralizzata ma distribuita, in cui l’utente si trovi in presenza di un network composto da infiniti server e infiniti client.
Forti di questo ragionamento sono proliferati sulla rete nuovi siti (citiamo come esempio Kazaa e Gnutella) a cui si appoggiano gli antichi fruitori di Napster, per i quali appare ormai come un assurdo dover pagare il prezzo normale di un CD quando possono continuare a scaricarsi liberamente musica dalla rete.
Attuali studi americani hanno dimostrato come questi nuovi siti abbiano ormai quasi raggiunto quella che era la “quota di mercato” (mai frase sembrò più impropria) di Napster.
Le etichette discografiche hanno cercato di reagire nei modi più disparati, ed ne è un illuminante esempio la Sony, che sta utilizzando un nuovo sistema (SunnComm) in base al quale non è più possibile leggere i CD multimediali sul proprio Pc o comunque non è possibile farne una copia sull’harddisk.
Universal Music ha appontato un sistema analogo, che pur permettendo l’ascolto dei CD sul Pc, obbligherebbe l’ascoltatore a registrarsi su un sito Web fornendo tutte le sue generalità nel caso in cui volesse fare copia del Cd sul suo disco fisso, consentendone così la sua futura identificazione in caso di sfruttamento illegale (almeno così sembrerebbe dato che non è stato ancora pubblicato nessun album con questo sistema).
Alla luce di quanto detto fin ad ora sembra essere molto interessante l’accordo raggiunto il 5 di ottobre tra la RIAA (Recording Industry Association of America), la National Publishers Association Inc. (NMPA) e la Harry Fox Agency, Inc. (HFA); non dimentichiamoci che la RIAA include le cinque maggiori etichette discografiche del mondo (Sony, Universal, BMG, Warner e EMI) e che la HFA rappresenta 27.000 produttori musicali che a loro volta rappresentano 160.000 compositori.
Con questo accordo i sistemi di file-sharing o di distribuzione dei file multimediali verranno approntati d’accordo con le Case discografiche proprietarie dei diritti o direttamente da queste (infatti[2] Sony e Universal sono entrate in società con Pressplay e Warner, EMI e BMG hanno fatto una joint-venture per creare MusicNet).
Nell’accordo vengono stabiliti due tipi di sottoscrizioni per i servizi musicali on-line forniti dai membri della RIAA agli utenti della rete, una sottoscrizione “on-demand stream”, ossia ascolto in tempo reale di brani tramite la tecnologia Streaming (Es. Real Audio) e una sottoscrizione “limited download” che permetterà di scaricarsi brani unicamente per ascoltarli una volta, o per numero di volte limitato o per un tempo limite.
Con questo accordo non viene ancora stabilito un pagamento per i diritti d’autore, che verrà negoziato in seguito, ma la RIAA pagherà alla HFA un anticipo di 1 milione di dollari e se un accordo per i diritti d’autore non verrà raggiunto entro due anni la RIAA si impegna a pagare 750 mila dollari l’anno alla HFA.
La RIAA pagherà alla HFA le licenze per lo sfruttamento dei brani musicali e, dal momento dell’accordo sui diritti d’autore, con le licenze verranno pagati anche i diritti di cui si è usufruito precedentemente.
Non è ancora stato stabilito quanto sarà il prezzo delle diverse sottoscrizioni tramite cui gli utenti potranno ascoltare i file musicali, ma sicuramente sarà più bassa del prezzo di un CD (!).
Non si può prescindere dall’osservare che non necessariamente un sistema di questo tipo sarà ben recepito dai “napsteriani” per i quali il libero mercato (leggi gratis) rappresenta sempre la soluzione migliore, ma non si può neanche negare la valenza positiva di un accordo di questo tipo che pur cercando di ricompensare l’autore per l’opera intellettuale svolta cerca di adeguarsi in modo concreto ad un mercato che non consente alcuna possibilità di essere controllato semplicemente trovando una qualificazione giuridica al “diritto d’autore” veicolato tramite Internet; bisogna rendersi conto che il pubblico pretende di ascoltare musica tramite la rete ed è disposto ad ottenerla anche in modo non totalmente lecito, soprattutto se l’alternativa è quella di dover pagare un prezzo realmente sproporzionato rispetto a quello che sono i costi di produzione. La soluzione? Siamo ben lungi dall’avvicinarci.
Note Bibliografiche: [1] Esemplificativo di ciò il fatto che molti Stati europei sull’onda del Digital Millenium Act americano abbiano cercato di costituire una licenza legale che possa, in qualche modo, compensare il mancato ottenimento dei diritti di riproduzione da parte dei legittimi titolari (anche in Italia la S.I.A.E. già nel 1999 aveva creato un modello provvisorio di licenza Þ http://www.e-jus.it/db/data/Napster_6-2-01.htm)
Infatti in Italia la Legge del 5 febbraio 1992 N. 93 riconosce ad autori e produttori di fonogrammi, […] il diritto di esigere dal rivenditore dei nastri o supporti analoghi di registrazione audio e video e degli apparecchi di registrazione audio una quota sul prezzo di vendita quale compenso per la riproduzione privata ad uso personale e senza scopo di lucro delle loro opere.
In America questa stessa disposizione è prevista appunto dal Digital Act, che, “chiamato in causa” di recente in una decisione della Corte federale su un ricorso intentato dalla RIAA contro la prima società che ha prodotto un riproduttore di file mp3, è stato interpretato proprio in senso opposto rispetto alla ratio con la quale è stato ripreso in Italia ossia negando la possibilità di applicazione di questa normativa a tale fattispecie. Questo solo per esemplificare, se ce ne fosse ancora bisogno, le differenze di interpretazione giurisprudenziale tra i due lati dell’Oceano. [2] Prescindendo da Wippit che è partito prima che gli accordi fossero realmente stati raggiunti, e che offre a circa 50 sterline l’anno la possibilità di scaricare i file musicali delle etichette convenzionate.
|