La vicenda. Il fatto preso in considerazione dalla sentenza in oggetto è un classico esempio di applicazione di problematiche giuridiche in tema di diffamazione e misure cautelari, ad Internet. Infatti, la vicenda trae spunto dalla pubblicazione su un sito Internet di alcune espressioni diffamatorie rivolte nei confronti di un noto giornalista televisivo italiano.
Verosimilmente, sul predetto sito, appariva un filmato ritraente dapprima il noto giornalista durante il telegiornale e, successivamente, l’indagato che rivolgeva al suddetto giornalista espressioni quali “servo, verme, bastardo, vergogna del giornalismo italiano” e commenti quali “guardalo lì, l’informazione in mano ai servi… insulta mezza Italia tutti i giorni dal suo cesso di telegiornale abusivo”.
A seguito di tali eventi il GIP provvedeva con ordinanza a disporre il sequestro preventivo, mediante oscuramento, del sito Internet e della relativa home page, in relazione al reato di diffamazione a mezzo internet ed a mezzo televisione.
Successivamente il Tribunale di Roma provvedeva, in sede di riesame, a confermare il provvedimento del giudice per le indagini preliminari. Contro tale ordinanza l’indagato proponeva ricorso per Cassazione, chiedendone l’annullamento senza rinvio deducendo due motivi: 1) erronea applicazione dell’ art. 595 c.p. co III, con riferimento alla ritenuta sussistenza del fumus commissi delicti, giacché nella specie ricorrerebbe l’esimente dell’esercizio di un diritto; 2) motivazione meramente apparente, con riferimento alla ritenuta sussistenza del periculum in mora legittimante il provvedimento di sequestro.
La Cassazione rigettava il ricorso in oggetto ritenendo i suddetti motivi privi di fondamento.
La disciplina generale in tema di diffamazione. Al fine di comprendere tale pronuncia è necessario tenere presente che il delitto previsto dall'art. 595 c.p. sanziona, nella sua ipotesi base, il comportamento di chi, fuori dei casi del reato di ingiuria, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione[1]. Il delitto di diffamazione, pertanto, in termini generali ed ai sensi dell'art. 595, co I c.p., si compone di tre elementi oggettivi: 1) l'assenza della vittima (per cui si differenzia dall'ingiuria); 2) l'offesa all'altrui reputazione; 3) la comunicazione con più persone.
Oggetto, pertanto, della tutela penale è “l’interesse dello Stato all’integrità morale della persona: il bene giuridico specifico è dato dalla reputazione dell’uomo, dalla stima diffusa nell’ambiente sociale, dall’opinione che gli altri hanno del suo onore e decoro”[2].
I commi II e III della medesima disposizione prevedono, inoltre, due circostanze aggravanti ad effetto speciale, qualora l'offesa consista nell'attribuzione di un fatto determinato, ovvero sia recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità. La ragione dell'aumento di pena, in quest' ultimo caso, deriva dalla particolare diffusività del mezzo adoperato, capace di rendere la diffamazione più incisiva e, conseguentemente, l'offesa più grave.
Per quanto, invece, concerne la disciplina della diffamazione realizzata col mezzo radiotelevisivo, essa è contenuta nella legge n. 223 del 1990, riguardante il sistema radiotelevisivo pubblico e privato. In precedenza detta fattispecie era punita a norma dell'art. 595, III co c.p., in quanto si finiva col considerare il reato de quo come commesso "con qualsiasi altro mezzo di pubblicità".
Tuttavia è necessario tenere presente che il legislatore, in tema di delitti contro l’onore, prevede un complesso sistema di cause di giustificazione il cui obiettivo è quello di dare rilevanza giuridico-penale ad una serie di situazioni di frequente ricorrenza quali il diritto di cronaca ed il diritto di critica.
In particolare la critica, estrinsecazione della libertà di pensiero, si concretizza nella presa di posizione motivata ed argomentata su accadimenti, fatti o circostanze.
Orbene il riconoscimento del diritto di critica, però, presuppone la verità del fatto, l’interesse sociale (pertinenza) e la correttezza formale del linguaggio (continenza).
Solo, infatti, l’esistenza di un ancoraggio alla realtà materiale delle cose permette alla critica di distinguersi dall’invenzione e dall’immaginazione; del pari la necessità di un riscontro in termini d’interesse generale consente di impedire che in nome della libertà intellettuale il diritto di critica trasmodi in immotivati attacchi personali o in sfoghi di mera animosità.
Inoltre l’opportunità di favorire la funzione tipica della critica, quali indubbiamente sono il confronto e la dialettica delle idee ha determinato a valutare con una certa ampiezza sia l’interesse sociale sia la continenza.
La critica, infatti, a differenza della cronaca, si caratterizza per una maggiore valenza valutativa che necessariamente implica una più ampia libertà dialettica. E’ pertanto consentito, a tali condizioni, l’utilizzo di un linguaggio colorito, aspro, pungente[3].
La perseguibilità. In considerazione dell'art. 597 c. p. sia l'ingiuria sia la diffamazione sono reati punibili a querela della persona offesa. In tali ipotesi, infatti, in considerazione della tenuità del reato e del carattere personale dell'offesa l'ordinamento deroga alla regola generale che impone l'esercizio ex officio dell'azione penale e preferisce rimettere alla persona offesa la decisione di servirsi o meno delle chances offerte dal sistema penale.
Il reato di diffamazione a mezzo Internet.- Per quanto concerne il nostro sistema giuridico, sono sorti problemi in ordine all'inquadramento della diffamazione on line, attesa la particolarità dello strumento utilizzato - Internet - per realizzare l'offesa.
Esso, infatti, non è espressamente previsto né dall'art. 595 c.p. né da disposizioni contenute in leggi speciali.
La questione, già oggetto di decisione da parte del Tribunale di Oristano con sentenza in data 25 maggio - 6 giugno 2000, è stata risolta dalla Corte di Cassazione nel senso di escludere la riconducibilità del reato in esame dall' ambito delle norme speciali dettate in tema di diffamazione a mezzo stampa (l. n. 47/1948) e a mezzo di trasmissioni radiofoniche o televisive (l. n. 223/1990), in forza del divieto di interpretazione analogica statuito dall'art. 14 delle disposizioni preliminari al codice civile.
Analogamente a quanto stabilito dal Tribunale di Oristano, la Suprema Corte ha, dunque, ricondotto la diffamazione a mezzo Internet nell'ambito della disciplina comune, prevista dall'art. 595 co III c.p., che aggrava la pena base, fra l'altro, qualora l'offesa sia recata con qualsiasi altro mezzo di pubblicità.
L'espressione “qualsiasi altro mezzo di pubblicità” utilizzata dal legislatore è, infatti, volutamente ampia e generica, così da ricomprendere ogni altro strumento di diffusione generalizzata; tale deve essere inteso anche Internet, caratterizzato dalla collocazione di dati e informazioni trasmessi per via telematica tramite l'utilizzo della rete telefonica al server di un cosiddetto provider, accessibile da migliaia di utenti contemporaneamente, presso il quale le informazioni restano a disposizione nei diversi siti in modo tale che ciascun interessato può leggerle e conservarle mediante il proprio computer.
Il momento consumativo. In precedenza, con pronuncia del 17 novembre 2000[4], la Cassazione determinava che il delitto di diffamazione telematica si consumava nel momento e nel luogo in cui terzi, attivando il collegamento al sito web contenente frasi o immagini lesive dell’onore, percepiscano l’espressione ingiuriosa[5].
Si tratterebbe, così, di reato di evento per cui il delitto si consuma non al momento della diffusione del messaggio offensivo, ma al momento della percezione dello stesso da parte di soggetti che siano terzi rispetto all'agente ed alla persona offesa[6].
Recentemente, tuttavia, la Cassazione è tornata sul reato di diffamazione per via telematica[7] con una pronuncia che conferma la natura del reato quale reato di evento ma che anticipa la punibilità dello stesso al momento in cui il collegamento viene attivato.
In tale pronuncia si sancisce l’applicabilità al mezzo in questione - Internet - del principio secondo cui la diffusione di una notizia immessa nel circuito dei mezzi di comunicazione di massa si presume, fino a prova contraria, conosciuta per effetto della pubblicazione.
Sembra, in tal modo prendersi atto delle difficoltà insite nell’individuazione in concreto dell’evento del reato, costituito dall’effettiva percezione e comprensione da parte di terzi del contenuto diffamatorio immesso sul sito web.
L’immissione sul web costituirebbe, infatti, un’offerta in incertam personam dato che le immagini o le espressioni in questione sarebbero fruibili da un numero elevato ma difficilmente accertabile di utenti.
La Cassazione, in tal modo mostra di condividere l’opinione di quanti ritengono che “in virtù della comune esperienza e quindi dei criteri probatori costituiti dall’ id quod plerumque accidit e dalla presumptio hominis, la messa a disposizione presso terzi del materiale offensivo e, ancor più, la connessione al sito web, possa coincidere con la percezione e comprensione dell’offesa da parte del pubblico”[8].
Conseguenza, pertanto, di tale nuovo orientamento è la possibilità, stante la facilità d’accesso ai siti internet, di presumere, fino a prova contraria, la percezione e comprensione dell’addebito offensivo.
Così stabilendo, quindi, il momento consumativo del delitto di diffamazione mediante inserimento di messaggi o immagini lesive della reputazione altrui su un sito internet, coincide con l’immissione nel sito web del contenuto lesivo dell’altrui reputazione e non con il momento, necessariamente successivo, in cui i terzi percepiscono la lesione dell’onore altrui.
Pare, in definitiva, determinarsi un’implicita rilettura della fattispecie in chiave di reato di pericolo a fondamento della quale sono poste, indubbiamente, esigenze di semplificazione probatoria, che comportano una palese inversione dell’onere probatorio.
La giurisdizione. Problema ormai da ritenere definitivamente risolto è quello legato alla natura territoriale d’Internet ed all’applicabilità della legge penale italiana alla condotta diffamatoria realizzata mediante l’inserimento di foto od espressioni dal tenore diffamatorio utilizzando una connessione ad un server sito all’estero.
Al proposito la Cassazione ha stabilito che il reato di diffamazione è configurabile anche quando la condotta dell'agente consistente nell’immissione di scritti o immagini lesivi dell'altrui reputazione nel sistema "Internet" si svolga all’estero.
In detta ipotesi, qualora l'immissione sia avvenuta all'estero, trova applicazione, ai fini della perseguibilità del reato in Italia, la regola dettata dall'art. 6 comma 2 c.p., dovendosi intendere come "evento" del reato la percezione del messaggio diffamatorio nel territorio nazionale da parte di una indistinta generalità di soggetti abilitati ad accedere al sistema "Internet".
Infatti, la considerazione del carattere transnazionale dello strumento con cui si realizza l'offesa non sposta la giurisdizione del giudice italiano, posto che in virtù dell'art. 6 c.p. il reato si considera commesso nel territorio dello Stato quando su di esso si sia verificata, in tutto o in parte, l'azione ovvero l'evento che ne sia conseguenza[9].
La competenza. Stanti le potenzialità della rete, è necessario distinguere l’ipotesi della diffamazione realizzata mediante l’invio di e-mail dalla ipotesi di diffamazione mediante pubblicazione su sito internet.
Se infatti la prima modalità ha come destinatari i soggetti individuati dal mittente tramite un predeterminato indirizzo di posta elettronica, di modo che riceveranno la e-mail solo i soggetti cui questa è indirizzata; la seconda invece è direttamente percepibile da un numero di soggetti non preventivamente determinato in quanto il sito web è normalmente fruibile da chiunque abbia una connessione ad Internet.
Tale differenza risulta rilevante ai fini della applicazioni delle norme riguardanti il riparto di competenza.
Infatti, la diffamazione tramite e-mail rientra nella previsione del 595 c.p. I co, mentre la diffamazione tramite pubblicazione su sito internet viene generalmente ricondotta nell’ambito d’applicazione del III co.
Orbene, la prima ipotesi di reato è di competenza del Giudice di Pace (art. 4, lett. a) D.L.vo 247/2000); la seconda, invece, è di competenza del Tribunale in composizione monocratica (con citazione diretta a giudizio).
Stanti le caratteristiche del reato sopra evidenziate, è evidente la necessità di evitare che nel tempo necessario ad addivenire alla conclusione della vicenda giudiziaria, il decorso dello stesso metta a rischio il raggiungimento degli scopi connessi ad un efficace esercizio della funzione giudiziaria penale.
Le misure cautelari personali e reali. A tal fine l’ordinamento prevede la possibilità di applicare idonee misure cautelari, personali o reali, disciplinate nel libro quarto del codice di procedura penale, a fronte delle quali, tuttavia si pongono le, potenzialmente contrastanti, esigenze di protezione dei valori di libertà fissati in Costituzione[10].
Per tale motivo, l’applicazione delle misure cautelari, in special modo quelle personali, è puntualmente disciplinata e subordinata alla sussistenza delle condizioni generali di applicabilità e delle cosiddette esigenze cautelari.
Le condizioni generali di applicabilità sono costituite dal fumus commissi delicti e dal periculum libertatis.
La prima si concretizza nella sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in capo al soggetto a cui va applicata la misura cautelare personale. La seconda, invece, sussiste nell’ipotesi in cui si ravvisa il pericolo che la persona destinataria della misura, lasciata libera, possa pregiudicare le esigenze ritenute meritevoli di tutela: le esigenze probatorie, le situazioni di cautela finale oppure le esigenze di tutela della collettività.
Accertata la presenza dei gravi indizi di colpevolezza e di almeno una delle esigenze cautelari il giudice deve disporre la misura cautelare.
Nel disporre tali misure il giudice deve attenersi ad alcuni parametri fondamentali. Innanzitutto nella scelta della misura cautelare si impone il criterio della adeguatezza, pertanto si deve ritenere che la custodia in carcere debba considerarsi l’ estrema ratio.
Al criterio dell’adeguatezza si accompagna quello della proporzionalità, per il quale ogni misura deve risultare proporzionata all’entità del fatto ed alla sanzione che si ritiene in concreto possa essere applicata.
Parallelamente l’entità della pena serve anche a stabilire un limite oggettivo di garanzia per l’imputato, infatti al di sotto di un determinato livello di pena il disvalore del fatto di reato è così tenue che le esigenze di cautela non possono prevalere di fronte alle istanze di libertà della persona.
A tal fine si terrà conto solamente della gravità dei fatti principali e non di quelli accessori, ovverosia si terrà conto della pena edittale prevista per ciascun delitto tentato o consumato ma non dei mutamenti di pena derivanti dalla continuazione, dalla recidiva, e dalle circostanze del reato.
Le misure cautelari personali sono di tipo coercitivo o interdittivo. Le prime sono il divieto di espatrio, l’obbligo di presentazione alla p. g., l’allontanamento dalla casa familiare, il divieto e l’obbligo di dimora, gli arresti domiciliari, la custodia in carcere o in luogo di cura; le seconde sono, invece, la sospensione dall’esercizio della potestà dei genitori, la sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio, il divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali o imprenditoriali.
Normalmente l’applicazione avviene a richiesta del pubblico ministero il quale però, deve presentare gli elementi su cui essa si fonda “nonché tutti gli elementi a favore dell’imputato e le eventuali deduzioni e memorie difensive già depositate”.
Sulla richiesta il giudice competente statuisce con ordinanza che deve contenere le generalità dell’imputato, la descrizione sommaria del fatto con l’indicazione delle norme di legge che si assumono violate, l’esposizione delle ragioni che giustificano il provvedimento in ordine sia alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza sia alla presenza di almeno una delle esigenze cautelari con l’indicazione degli elementi di fatto da cui sono desunti e dei motivi della loro rilevanza.
Particolare menzione va fatta delle ragioni che giustificano la misura in relazione al tempo trascorso dalla commissione del reato.
La giurisprudenza ha precisato che l’obbligo di motivazione si estende oltre che all’indicazione della fonte di prova ed al riferimento al tipo di prova acquisita, anche al contenuto delle risultanze; è necessario inoltre esporre il contenuto delle risultanze emergenti dagli elementi presentati dall’organo richiedente il provvedimento, nonché la menzione dei fattori indizianti che se ne possono desumere e delle ragioni della loro rilevanza ai fini del giudizio di probabile reità[11].
L’assenza di tali requisiti è sanzionata con la nullità prevista dall’art. 292 II co cpp.
Gli effetti delle misure cautelari decorrono dal giorno della cattura, dell’arresto e del fermo per la custodia cautelare o dalla notificazione dell’ordinanza che le dispone per le altre misure.
Al fine di contenere il sacrificio della libertà della persona al minimo, vige il principio del controllo permanente della sussistenza delle condizioni di applicabilità delle misure cautelari personali. Si dispone infatti che queste sono immediatamente revocate qualora risultino mancanti, anche per fatti sopravvenuti, le condizioni generali previste dalla legge. Mentre invece, se le esigenze cautelari sono solamente attenuate è possibile procedere alla loro sostituzione.
Le misure cautelari reali, a differenza di quelle personali, invece, sono dirette ad imporre limitazioni a quelle libertà individuali che si realizzano nella disponibilità del proprio patrimonio.[12]
Esse consistono nel sequestro conservativo e nel sequestro preventivo.
Si tratta di due misure da non confondere con il sequestro cd. penale o probatorio e disciplinato dagli art. 253 e ss del cpp. Infatti, diversi sono i soggetti che possono disporlo ma diverse, soprattutto, sono le finalità.
Se infatti il sequestro penale ha come scopo l’acquisizione della prova e può essere ordinato dal pubblico ministero e, talora, dalla polizia giudiziaria, il sequestro - preventivo e conservativo – è un atto tipico del giudice avendo questi il compito di disporlo o convalidarlo. Inoltre tali ultimi due hanno finalità prettamente cautelari, mirando a salvaguardare quelle esigenze di natura finale o preventiva che potrebbero risultare medio tempore pregiudicate dalla celebrazione del procedimento di accertamento dei fatti.
Conseguentemente i beni sequestrati per esigenze probatorie sono sottratti a chi li detiene per essere posti a disposizione del giudice che di essi si serve al fine di formare il proprio convincimento; quelli sequestrati con finalità cautelare sono resi indisponibili per impedire che lo svolgimento di attività connesse con il loro godimento possa pregiudicare l’esecuzione della sentenza o aggravare le conseguenze del reato ovvero agevolare la commissione di altri reati.
Il sequestro conservativo. Al fine di non disperdere le garanzie patrimoniali per il pagamento di somme dovute in dipendenza della sentenza è previsto, dall’art. 316 cpp, il sequestro conservativo. Questo può riguardare beni mobili od immobili dell’imputato o somme di denaro o cose a lui dovute da terzi secondo le norme previste dal codice di procedura civile in tema di pignoramento.
Legittimati ad avanzare richiesta di sequestro conservativo sono il p.m. a garanzia del pagamento della pena pecuniaria, delle spese per il procedimento e di ogni altra somma dovuta allo Stato; la parte civile, a garanzia delle obbligazioni civili derivanti dal reato. Laddove la richiesta sia avanzata dalla parte civile il sequestro può estendersi ai beni del responsabile civile ed anche alle cose e somme a lui dovute.
È da notare che nessuna facoltà di proporre richiesta di sequestro è data alla persona offesa che non si sia costituita parte civile.
La presentazione della richiesta che, indirizzandosi nei confronti dell’imputato, presuppone la formulazione della imputazione, è possibile finché non si sia chiuso il processo di appello; è preclusa pertanto nel processo in cassazione.
Laddove risultano fondati i motivi per ritenere che manchino o si disperdano le garanzie del credito, il giudice dispone con ordinanza il sequestro, previa verifica delle condizioni di legittimità della domanda di sequestro e della esistenza degli elementi oggettivi idonei a fondare un giudizio di pericolo nel ritardo per le ragioni patrimoniali avanzate dal richiedente.
Vediamo pertanto che, per disporre tale misura cautelare reale, permane la necessità della sussistenza del periculum in mora, ma non del fumus commissi delicti il quale pare sostituito dalla verifica delle condizioni di legittimità del sequestro.
Il sequestro, emesso inaudita altera parte, mediante ordinanza, è eseguito dall’ufficiale giudiziario con le forme previste dal codice di procedura civile per l’esecuzione del sequestro conservativo e rimane efficace fino alla definizione del relativo processo.
Contestualmente al vincolo di indisponibilità si costituisce un privilegio per i suindicati crediti dello Stato e della parte civile, tuttavia l’imputato ed il responsabile civile possono sottrarsi agli effetti della misura cautelare prestando una cauzione in funzione impeditiva o sostitutiva del sequestro dei beni.
Nell’ipotesi in cui la misura sia revocata o la definizione del processo importi la cessazione degli effetti della misura cautelare con sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere non più soggetta ad impugnazione, compete al pubblico ministero curare la cancellazione della trascrizione immobiliare.
Con la definizione del processo, infatti, cessano gli effetti delle misure cautelari, tuttavia nel caso in cui diventi irrevocabile la sentenza di condanna al pagamento dell’imputato o del responsabile civile al risarcimento dei danni in favore della parte civile, il sequestro conservativo si converte in pignoramento.
Il sequestro preventivo. L’altra misura cautelare reale è il sequestro preventivo dettato al fine di evitare il rischio che la libera disponibilità della cosa possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato oppure agevolare la commissione di altri reati. Oggetto del provvedimento di coercizione reale è la “cosa pertinente il reato”. L’ espressione utilizzata dal legislatore, volutamente ampia, se da una parte comprende quanto indirettamente è legato alla fattispecie criminosa come la cosa che costituisce il mezzo, il prodotto o il profitto del reato; dall’altra lascia comunque trasparire la necessarietà di un nesso di pertinenza e di causalità tra la res e il reato tale che “le cose pertinenti al reato sono quelle che lasciate nella disponibilità del titolare posseggono una specifica, necessaria e strutturale strumentalità rispetto all'aggravamento delle conseguenze del reato o alla commissione di futuri reati”[13].
Presupposti per l’applicazione sono, pertanto, il fumus commissi delicti ed il periculum in mora.
Il primo consiste nella astratta configurabilità e sussumibilità del fatto in una fattispecie penale[14], accompagnato da un giudizio prognostico sulla verificazione del fatto che non sia arbitrario né prima facie scorretto[15].
Il secondo, invece, “deve intendersi come la concreta possibilità che il bene assuma carattere strumentale rispetto all'aggravamento o alla protrazione delle conseguenze del reato ipotizzato o all'agevolazione della commissione di altri reati”[16]. Per cui esso mira ad evitare che la “libera disponibilità della cosa pertinente al reato possa provocare l'aggravarsi o il protrarsi delle conseguenze di esso”; esso, inoltre “deve essere attuale”[17] e non meramente potenziale.
Il venir meno di tali presupposti impone al giudice di revocare, ma solo su richiesta del pubblico ministero o di altro interessato, la misura. Nel corso delle indagini preliminari alla revoca può provvedere anche lo stesso pubblico ministero.
La definizione del processo con sentenza, ancorché soggetta ad impugnazione, implica il venir meno della misura cautelare con l’eventuale restituzione delle cose sequestrate a chi ne abbia titolo.
Istituto distinto dal sequestro preventivo è, invece, la confisca disciplinata dall’art. 240 cp. Essa, facoltativa o obbligatoria, è disposta in caso di condanna ed ha ad oggetto le cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e le cose che ne sono il prodotto o il profitto.
Una figura particolare di sequestro preventivo riguarda i delitti di sequestro a scopo di estorsione. Esso colpisce i beni appartenenti alla persona sequestrata al fine di impedire che gli autori del reato possano conseguire il prezzo della liberazione della vittima.
Il provvedimento di sequestro preventivo è emesso con decreto inaudita altera parte in ogni stato e grado del procedimento, dal giudice su richiesta del pubblico ministero. Tuttavia quando vi è urgenza di provvedere e non è possibile attendere il provvedimento del giudice, il sequestro può essere disposto dal p. m. o, prima del suo intervento, dagli ufficiali di polizia giudiziaria. In tal caso il verbale deve essere trasmesso, entro le quarantotto ore successive, al pubblico ministero del luogo dove il sequestro è avvenuto.
In tale quadro generale si inserisce la pronuncia n. 17401/2008 la quale procede, da una parte, all’applicazione, nel caso di specie, di noti principi in materia di esercizio del diritto di critica quale causa di giustificazione del reato di diffamazione; dall’altra, appone l’imprimatur di legittimità al vincolo cautelare reale su un sito Internet contenente espressioni diffamatorie.
Quest' ultimo è sicuramente l'aspetto più interessante della pronuncia in questione, che perviene a tale conclusione partendo dalla considerazione per la quale qualora detto sito web continui ad essere accessibile, la lesività dell’onore del soggetto passivo della diffamazione continua a prodursi.
Da qui la necessità che, prima ancora che si pervenga alla definizione del processo, vi sia un intervento che inibisca che si possano aggravare o protrarre le conseguenze del reato di diffamazione telematica; occorre, cioè, l’applicazione di una misura cautelare.
È evidente che l'unica idonea a raggiungere lo scopo è il sequestro preventivo del sito.
Di qui la problematica, peraltro nemmeno ampiamente dibattuta, ma affrontata e risolta dalla Corte se sia possibile applicare anche ad Internet una misura cautelare reale.
Orbene il primo motivo del ricorso, che attiene la sussistenza del fumus commissi delicti, è superato dalla Cassazione mediante un richiamo ad un precedente orientamento[18] per effetto del quale la verifica del cd. fumus è ben diversa e più limitata rispetto alla verifica che si conduce in dibattimento riguardo il giudizio di colpevolezza dell’imputato.
Infatti il primo si arresta ad un giudizio prognostico sulla configurabilità e sussumibilità del reato ipotizzato senza estendersi, come avviene in sede di giudizio di colpevolezza, mediante ampio contraddittorio, all’attento esame del complesso degli elementi di valutazione che concorrono ai fini dell’accertamento della responsabilità dell’indagato.
Orbene, in sede di applicazione della misura cautelare del sequestro preventivo, continua la Cassazione, compete al giudice semplicemente valutare due aspetti.
In primo luogo, si procederà a vagliare la enunciazione attinente l’ipotesi di reato, prospettata dal pubblico ministero, valutando se essa non sia manifestamente arbitraria.
In secondo luogo, sarà apprezzata la necessità di escludere la libera disponibilità della cosa pertinente quel reato, stante il pericolo che siffatta disponibilità possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato.
É questa la speciale connotazione che assumono il fumus commissi delicti ed il periculum in mora nella suddetta misura cautelare.
Ritenuta, pertanto, accertata la pertinenzialità tra l'oggetto del sequestro, il reato e l'indagato, la Cassazione dà risposta positiva a tale duplice interrogativo e procede a disattendere anche il secondo motivo di doglianza del ricorrente, il quale lamentava motivazione meramente apparente con riferimento alla ritenuta sussistenza del periculum in mora legittimante il provvedimento di sequestro.
Al riguardo, è bene ricordare che, a differenza degli altri provvedimenti cautelari, il sequestro preventivo è un provvedimento la cui incidenza su valori costituzionalmente protetti è ben minore; per tale motivo il giudice nel disporlo non è tenuto a dare conto, in motivazione, di un numero particolarmente cospicuo di elementi come avviene, generalmente, nelle misure cautelari personali.
La minore invasività del sequestro probatorio è, peraltro, testimoniata dal fatto che può essere disposto anche dalla polizia giudiziaria.
In linea con queste considerazioni, la Cassazione ha ritenuto soddisfacenti le motivazioni addotte dal Tribunale del riesame per confermare la legittimità del sequestro, pur riconoscendone la sinteticità.
Viene in particolare ritenuto sufficiente a motivare il periculum in mora l'affermazione per la quale “il disposto vincolo cautelare reale si presenta, nella specie, assolutamente necessario al fine di evitare che si possano aggravare o protrarre le conseguenze del reato in contestazione, evenienza che discenderebbe dalla libera disponibilità, in capo all'indagato, del sito e della pagina web”.
A mio avviso, anche se, a dire il vero un poco pleonastica e, come riconosciuto anche dalla Cassazione, sintetica, la motivazione de qua è, in definitiva, corretta. Infatti, difficilmente l'organo giudicante avrebbe potuto motivare diversamente il sequestro del sito internet, stante da una parte la semplicità dei fatti, dall' altra l'evidenza della esigenza cautelare sottesa alla vicenda.
Pertanto, avendo provveduto a confermare la linearità dei passaggi logici svolti sia dal giudice delle indagini preliminari, sia dal Tribunale del riesame, la Cassazione, conclusivamente, rigetta il ricorso.
L'innovatività, a mio avviso non sconvolgente, della sentenza n. 17401 del 2008, risiede nell'adeguamento da parte della Cassazione del catalogo degli strumenti ritenuti capaci di aggravare o protrarre le conseguenze del reato di diffamazione e, quindi, nell'allineamento degli Ermellini alle ormai acquisite novità tecnologiche.
Orbene, l'argomento riguardante l'applicabilità del sequestro preventivo ad un sito Internet risulta essere già stata vagliato positivamente dalla giurisprudenza di legittimità in Cassazione sentenza 27 settembre 2007 (dep. 24 ottobre 2007) n. 39354.
Tale sentenza ha, tuttavia, nel nostro caso, un valore limitato contemplando, infatti, una pronuncia riguardante un reato completamente diverso perché pronunciata in materia di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione.
In Cassazione 17401/2008, infatti, la Suprema Corte vaglia se sia necessario oscurare il sito Internet ed escludere la disponibilità dello stesso in capo all'indagato.
É evidente che ad un tale interrogativo la Cassazione non poteva che rispondere affermativamente.
Infatti l'utilizzo e la capacità di un mezzo tecnologico come Internet, al fine di diffondere espressioni diffamatorie della reputazione di taluno, non si differenzia minimamente dall'utilizzo di altri mezzi al pari idonei a divulgare le medesime espressioni, ma anzi probabilmente è anche maggiore.
Nel tempo si è ritenuto che il reato di diffamazione fosse integrabile, oltre che attraverso la televisione anche da un manifesto-volantino[19], da un comunicato, redatto all'esito di un'assemblea condominiale[20].
Orbene, a mio avviso, non si ravvisano motivi particolari per i quali tale reato non possa perpetrarsi anche per effetto dell'utilizzo di un sito web, il quale ha potenzialità enormi essendo accessibile ad una platea sconfinata di soggetti.
D'altronde, probabilmente, il fatto che la Cassazione sia stata chiamata a pronunciarsi al riguardo a così grande distanza di tempo dalle prime pronunce della giurisprudenza di merito in tema di diffamazione via web[21] potrebbe essere anche sintomo del fatto che la legittimità del vincolo cautelare sul sito internet fosse un approdo difficilmente revocabile in dubbio.
Conclusivamente ritengo, pertanto, che si possa aderire alla pronuncia in oggetto la quale nulla ha aggiunto di particolarmente innovativo sul piano della dogmatica dei presupposti di applicazione delle misure cautelari reali, anzi, si è limitata a ribadire un orientamento già noto ai più.
In definitiva l' unica novità che si può in tale pronuncia ravvisare è l'aver proceduto all'aggiornamento del catalogo degli strumenti attraverso i quali è possibile che si realizzi il reato di diffamazione, avendo poi provveduto pianamente ad applicare ad essa, in abbrivio ad una serie di decisioni della giurisprudenza di merito che senz'altro sono da condividere, l'acquis cautelare.
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[1] In argomento si vedano Collica-Gullo-Vitarelli, I delitti contro l’onore, Casi e materiali, A cura di Siracusano, Torino 2001; Verri-Cardone, Diffamazione a mezzo stampa e risarcimento del danno, MILANO, 2004
[2] Cass, sez. V, 28 febbraio 1995, Lambertini Padovani, in Cass. Pen., 1995, p. 2534, con nota di F. M. Iacoviello, Problemi vecchi e sensibilità nuova della Cassazione in materia di diffamazione a mezzo stampa.
[3] Fiandaca-Musco, Diritto penale-parte speciale, Giuffrè, p. 22
[4] Foro It., Repertorio 2001, voce Ingiuria, n. 32 e Cass. Pen. 2001, 1832, con nota di Perusia, Giurisdizione italiana anche per le offese “on line” su un sito straniero
[5] In tal senso anche alcune pronunce di merito, Trib. Bari-Molfetta, 18 febbraio 2003; Trib. Teramo-Giulianova 30 gennaio 2002
[6] Santoriello, Condizioni di perseguibilità, da parte dell'ordinamento italiano, di condotte di diffamazione commesse tramite Internet in www.deaprofessionale.it
[7] Cass., sez . V, 21 giugno 2006, Cicino, in Foro It., settembre 2007, p. 486
[8] Nisticò, Sui reati contro l’onore per “via telematica”, in dir. pen. e proc., 2002, p. 57
[9] Studium juris, 2001, 599
[10] Diritto processuale penale, Siracusano, Galati, Tranchina, Zappalà, Giuffrè, 2004, p. 409
[11] Cass. 22 febbraio 1991, Meoli
[12] Siracusano, op. cit., p. 469 e ss
[13] Cass. sez. III, n. 32283 del 31-07-2003
[14] Cass. sez. II, n. 19523 del 23-03-2006
[15] In tal senso Cass. sez. II, n. 19523 del 23-03-2006
[16] Cass. sez. IV, n. 6382 del 18-01-2007
[17] Cass. sez. II,. n. 25996 del 17-06-2003
[18] Cass. sez VI, n. 25056, del 26 aprile 2004.
[19] Sez. V, Sent. n. 32577 del 22-06-2007
[20] Sez. V, Sent. n. 35543 del 18-09-2007
[21] GIP presso il Tribunale di Latina, Ordinanza 7 giugno 2001, in www.penale.it