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Le clausole vessatorie nei contratti telematici, la doppia sottoscrizione, la competenza giurisdizionale prevista dal Regolamento n. 44 del 22 dicembre 2000 a garanzia del consumatore ed il futuro del commercio elettronico
La disciplina delle clausole vessatorie, introdotta come è noto nel codice civile dalla novella del 1996, stabilisce una tutela rafforzata per il consumatore, considerato soggetto debole del rapporto contrattuale: "nel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista, si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto" (articolo 1469 bis c.c.).
Con l'espansione di Internet e la diffusione delle transazioni online ci si è posti il problema dell'applicabilità di questa disciplina ai contratti telematici, caratterizzati rispetto a quelli tradizionali per modalità di conclusione tali da implicare, di volta in volta, specifici adempimenti da parte di chi intende concluderli (un semplice clic del mouse, una sottoscrizione con firma digitale, etc.).
Argomentando dalla considerazione per cui nell'ambito della contrattualistica telematica sussisterebbero le medesime esigenze di tutela che si pongono nella disciplina comune, parte della dottrina ritiene che non vi sarebbero ostacoli all'applicazione della disciplina codicistica anche ai contratti stipulati tramite Internet.
Tuttavia non possono essere trascurati alcuni aspetti problematici e, per prima, la difficoltà di dimostrare la specifica approvazione delle clausole, soprattutto per quel che concerne i contratti per adesione (regolati dagli articoli 1341 e 1342 c.c.), ma anche la non agevole dimostrazione della trattativa individuale nei contratti dei consumatori, così come prevista dal quarto comma dell'articolo 1469 ter c.c..
Con riferimento alla prima questione si noti che il codice civile prevede alcune ipotesi di clausole che si considerano vessatorie, con conseguente sanzione di inefficacia (articoli 1341 e 1469 bis c.c.).
Secondo un certo orientamento sarebbe possibile valutare le clausole telematiche secondo le regole generali, semplicemente prestando una maggiore attenzione alle informazioni da fornire nella fase precontrattuale, con la massima chiarezza e trasparenza, vista la non fisicità delle parti contraenti e la peculiarità del mezzo di conclusione del contratto.
In tal senso è interessante esaminare una delle prime pronunce giurisprudenziali relative all'approvazione telematica delle clausole vessatorie sebbene riguardante un contratto per adesione tra professionisti (sentenza n. 15 del 12 novembre 2001, pubblicata a maggio 2002, Giudice di Pace di Partanna).
In ordine all'applicabilità ai contratti telematici della disciplina sulle clausole vessatorie (articoli 1341 e 1342 c.c.), la sentenza prende le distanze da un certo orientamento secondo il quale la connessione ad Internet determinerebbe una sorta di "internazionalizzazione" del consenso e, dunque, una tacita rinuncia alla cogenza delle singole normative nazionali.
Nel caso di specie, il giudice riconosce piena forza vincolante al consenso dato tramite la Rete e, considerando il negozio giuridico come contratto per adesione, ritiene che le clausole vessatorie (nella fattispecie una clausola relativa al foro competente), aggravando la posizione del "contraente debole", necessitino di un'approvazione specifica ai sensi dell'articolo 1341 c.c., secondo comma.
Seguendo questo orientamento, la conclusione di un contratto di compravendita tramite Internet non implicherebbe accettazione immediata delle clausole contenute nelle condizioni generali pubblicate sulla Rete, poiché il T.U. n. 445 del 2000 (che ha inglobato in sé il d.P.R. n. 513 del 1997) pur riconoscendo efficacia di scrittura privata al documento informatico, non dispone alcuna deroga alla disciplina delle clausole vessatorie.
Quindi l'aderente al contratto telematico avrebbe dovuto esprimere un doppio consenso: uno di adesione al contratto, l'altro di approvazione delle clausole vessatorie.
Teoricamente ciò sarebbe possibile attraverso un clic specifico per la singola clausola vessatoria, ma resterebbe la difficoltà di fornire la prova di un'approvazione attuata con questi mezzi.
Ecco riemergere allora in modo chiaro le questioni che da sempre hanno caratterizzato il documento informatico: prova, imputazione, integrità e sicurezza.
Tali incertezze sono state in parte risolte dalle recenti normative, per cui oggi si può affermare che una clausola sottoscritta con la firma elettronica "non avanzata" (riprendendo la dicitura del decreto legislativo n. 10 del 23 gennaio 2002) debba ritenersi inefficace, non soddisfacendo il requisito della forma scritta.
Al contrario, nel caso in cui la sottoscrizione avvenga tramite una firma digitale o altra firma elettronica "avanzata", la clausola potrà ritenersi ritualmente accettata e quindi valida a tutti gli effetti di legge.
Tuttavia, nell'ipotesi di un contratto con un consumatore lo scenario è parzialmente differente: non è infatti sufficiente l'approvazione per iscritto delle clausole per escludere il giudizio di vessatorietà, ma è necessario dimostrare un quid pluris, consistente nella trattativa individuale tra le parti, ex articolo 1469 ter c.c., quarto comma.
Anche nel caso di business to consumer incomberebbe quindi sul professionista dimostrare l'avvenuta trattativa ai sensi dell'articolo 1469 ter c.c. quinto comma, il che comporterebbe, però, una probatio diabolica (l'unico caso immaginabile è quello in cui vi sia stato uno scambio continuativo di email tra le parti, idoneo a dimostrare la trattativa sul contenuto delle singole clausole).
Nella maggior parte dei casi quindi le clausole contenute in un contratto telematico e considerate oggettivamente vessatorie (o perché rientrano nella lista esemplificativa dell'articolo 1469 bis c.c. o perché determinano comunque a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti o degli obblighi derivanti dal contratto) saranno sempre inefficaci anche se sottoscritte con firma elettronica (semplice, avanzata o digitale), in mancanza della prova di un'espressa trattativa tra le parti.
A norma di legge (articolo 1469 quinquies c.c.) conseguirà la loro inefficacia, mentre il contratto resterà valido per il resto. E tuttavia dovrà essere il consumatore ad adoperarsi per far valere questo suo diritto, ma è facile immaginare le maggiori difficoltà connesse all'e-commerce.
Proprio per accrescere la fiducia dei consumatori nei confronti dell'acquisto online e di offrire loro effettiva tutela in caso di inadempimento, il Consiglio dell'Unione Europea ha emanato il regolamento del 22 dicembre 2000, n. 44, entrato in vigore lo scorso 1° marzo, concernente la competenza giurisdizionale e il riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale dell'Unione Europea.
Il regolamento che, come è noto non necessita di attuazione da parte degli Stati membri, ha sostituito la Convenzione di Bruxelles del 1968, uniformando le leggi europee in materia di competenza giurisdizionale per le controversie tra soggetti domiciliati nella Comunità.
Per quanto riguarda il B2C, è stabilito che qualora la controparte del consumatore non abbia il proprio domicilio nel territorio di uno Stato membro, ma possieda al suo interno una succursale, un'agenzia o qualsiasi altra sede d'attività, essa è considerata come avente domicilio nel territorio dello Stato.
Ed allora l'azione del consumatore contro l'altra parte del contratto potrà alternativamente essere proposta davanti ai giudici dello Stato membro nel cui territorio è domiciliata tale parte o davanti ai giudici del luogo in cui è domiciliato il consumatore, mentre "l'azione dell'altra parte del contratto contro il consumatore può essere proposta solo davanti ai giudici dello Stato membro nel cui territorio è domiciliato il consumatore".
La competenza speciale introdotta dal regolamento determina, quindi, una tutela rafforzata nei confronti del consumatore, il quale acquistando online un qualsiasi bene, potrà citare il professionista, titolare del sito web, nel Paese del proprio domicilio.
Da rilevare poi che in base al Regolamento il descritto beneficio del foro non può essere derogato da clausole contenute nel contratto online che prevedano un diverso regime.
Combinando tale regolamento con la direttiva sul commercio elettronico (direttiva n. 2000/31/CE), che prevede specifici obblighi di informazione per le società che operano in Internet, si ritiene oggi che i consumatori possano acquistare beni online nella Comunità Europea con maggiore fiducia e garanzia.
Tuttavia l'obiettivo per una tutela piena ed efficace dei consumatori è ancora lontano: le norme del regolamento sono infatti applicabili soltanto nei confronti di soggetti comunitari e dunque resta il rischio di dover intraprendere una causa difficile e dispendiosa in un Paese extraeuropeo.
Una possibile soluzione potrebbe rinvenirsi nel ricorso all'autoregolamentazione (o alla co-regulation), predisponendo codici di condotta vincolanti per quanti decidano di operare nella Rete, apportando vantaggi per tutti gli attori del mercato telematico.
Certo resta il dubbio connesso all'effettiva vincolatività di queste norme autoimposte: soltanto se le aziende avranno la lungimiranza di comprendere che non si potrà fare a meno di radicare la massima fiducia nei consumatori di oggi e di domani, la strada che attende il mercato telematico potrà dirsi strada di effettivo progresso.

Il sito dell'autore: Consumerlaw


Autore: Elisabetta Quagliato


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