Finalmente quanto previsto dal Codice dell’Amministrazione digitale trova concreta attuazione da parte del Giudice Amministrativo.
Il TAR Basilicata, infatti, con la sentenza n. 478 del 23.9.2011, ha accolto il ricorso per l’inefficienza delle amministrazioni ex d.lgs. 198/2009 proposto dall’associazione “Agorà digitale” e dal movimento “Radicali Italiani”, unitamente ad alcuni privati cittadini, che lamentavano la violazione, da parte della Regione Basilicata, dell’obbligo di adottare gli atti amministrativi necessari a consentire ai cittadini e agli utenti di comunicare con l’ente stesso mediante la posta elettronica certificata. In effetti sull’home page del sito istituzionale della Regione l’indirizzo di posta elettronica certificata non era stato pubblicato, così, tramite una class action, è stato chiesto al Giudice Amministrativo di condannare la Regione all’esecuzione degli adempimenti necessari ad assicurare l’effettività delle disposizioni di cui agli articoli 3, 6 e 54 del d.lgs. n. 82/2005 mediante l’adozione degli atti amministrativi obbligatori per legge.
La citata sentenza risulta di non trascurabile importanza, visto che viene per la prima volta riconosciuto da un giudice il diritto dei cittadini e delle imprese all’utilizzo delle tecnologie dell’informazione, a cui corrisponde un correlato dovere della PA di renderlo concretamente attuabile ed esercitabile.
Per giungere a tale conclusione, il Giudice Amministrativo non ha fatto altro che leggere in combinato disposto gli articoli 2, 3 e 6, che affermano il diritto dei cittadini e delle imprese a comunicare con la pubblica amministrazione attraverso strumenti informatici e telematici e assicurano l’utilizzo della posta elettronica certificata da parte di quest’ultima, con l’art. 54 comma 2 ter del CAD, che impone alle PPAA di pubblicare sul proprio sito istituzionale “un indirizzo istituzionale di posta elettronica certificata a cui il cittadino possa rivolgersi per qualsiasi richiesta ai sensi del presente codice”.
Il TAR richiama altresì, a supporto della fondatezza della tesi avanzata dall’associazione, l’art. 11, comma 1 e 5 del D. Lgs. n. 150 del 2009[1] (che indica gli strumenti per rendere effettivi i principi di trasparenza nella pubblica amministrazione, tra cui, appunto, la pubblicazione sui siti istituzionali delle PPAA “delle informazioni concernenti ogni aspetto dell’organizzazione e quindi anche degli indirizzi di posta elettronica certificata fruibili dagli interessati”), nonché le “Linee guida per i siti web della PA – anno 2010”[2] (che dettagliano le modalità con cui le caselle di posta elettronica devono essere pubblicizzate).
Tali disposizioni così richiamate sono immediatamente applicabili nei confronti delle Regioni e, dunque, l’obbligo incombente su queste ultime di pubblicare sulla pagina iniziale del proprio sito istituzionale l’elenco completo delle caselle di PEC e di garantire la comunicazione attraverso questo strumento diventa direttamente esigibile.
Con la pronuncia in commento, il Giudice Amministrativo ha altresì affermato che la mancata pubblicazione di un indirizzo PEC sul sito istituzionale e la mancata attuazione del diritto degli utenti di comunicare attraverso lo stesso si traduce in un “disservizio” della PA, in quanto:
- costringe “gli interessati a recarsi personalmente presso gli uffici e a utilizzare lo strumento cartaceo per ricevere ed inoltrare comunicazioni e/o documenti”;
- limita le modalità di esercizio del diritto di partecipazione al procedimento amministrativo[3];
- incide in maniera negativa sulla disciplina delle notificazioni[4].
Il TAR, attraverso una class action attivata da cittadini e associazioni, ha dunque spianato la strada per la tutela effettiva di quanti, cittadini privati e imprese, si scontrano con l’inadempienza di quelle pubbliche amministrazioni ancora sorde ai dettami del Codice dell’Amministrazione Digitale, con ripercussioni negative notevoli sui propri diritti di partecipazione e sul buon andamento della stessa PA. Il Giudice amministrativo, la prima volta che gliene viene data l’occasione, manda un segnale decisivo alle pubbliche amministrazioni che, come la Regione Basilicata, non solo sono inadempienti nei confronti di quanto imposto dal CAD, ma persistono nella loro inerzia evitando un ravvedimento operoso durante il giudizio e meritandosi, pertanto, una cospicua condanna alle spese.
Adesso rimangono diversi punti interrogativi a cui le PA dovranno rispondere, ne ricordiamo un paio fondamentali:
- come utilizzare correttamente la PEC nella gestione documentale?
- come conservare a norma e in sicurezza i documenti informatici trasmessi via PEC[5]?
Sono domande di non facile soluzione, a maggior ragione in questo periodo di tagli e ristrettezze economiche, se si riflette sul fatto che sviluppare un sistema a norma di conservazione significa investire in risorse hardware a software, e in formazione e informazione. Intanto i principi del CAD, però, ci sono e vanno avanti “a colpi di PEC”!
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[1] Il D. Lgs. 27 ottobre 2009 n. 150 reca “Attuazione della legge 4 marzo 2009 n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni”.
[2] Le citate Linee guida sono state emanate dal Ministero per la pubblica amministrazione e l’innovazione in attuazione della direttiva n. 8/2009 del Dipartimento della Funzione Pubblica.
[3] L’art. 4 comma 1 del CAD, infatti, consente di esercitare i diritti procedimentali attraverso gli strumenti di comunicazione telematica (“La partecipazione al procedimento amministrativo e il diritto di accesso ai documenti amministrativi sono esercitabili mediante l'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione secondo quanto disposto dagli articoli 59 e 60 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445”).
[4] Sempre l’art. 4 del CAD permette che “ogni atto e documento può essere trasmesso alle pubbliche amministrazioni con l'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione se formato ed inviato nel rispetto della vigente normativa”. A tal riguardo, il TAR richiama anche l’art. 45 del codice, che equipara la trasmissione del documento originale a quella effettuata con “qualsiasi mezzo telematico o informatico idoneo ad accertarne la fonte di provenienza” ed afferma altresì che “il documento informatico trasmesso per via telematica si intende spedito dal mittente se inviato al proprio gestore, e si intende consegnato al destinatario se reso disponibile all'indirizzo elettronico da questi dichiarato, nella casella di posta elettronica del destinatario messa a disposizione dal gestore”.
[5] Si faccia riferimento all’articolo dal titolo “Che PEC-cato! La posta elettronica certificata tra equivoci e limitati utilizzi concreti” a cura di Andrea Lisi e Gianni Penzo Doria, pubblicato il 27/01/2010 su www.studiolegalelisi.it