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Beni espropriati, mancato utilizzo ed usucapione |
Con la ormai storica sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione 26.2.1983. 1464, il concetto di occupazione appropriativa è entrato a pieno titolo fra gli istituti di diritto comune. L’eccezione al regime dell’accessione di cui agli art. 934-938 c.c. ed al classico broccardo quidquid inaedificatur solo cedit ha creato un nuovo modo di acquisto della proprietà da parte della Pubblica Amministrazione, noto anche, proprio per la sua natura derogatoria alle regole generali, accessione invertita. In sostanza, l’effetto derogatorio sarebbe un’indiretta applicazione della prevalenza dell’interesse economicamente preponderante, ritenuto ex se quello pubblico rispetto al diritto reale del proprietario privato. L’acquisto a titolo originario in capo alla Pubblica Amministrazione si realizza in sostanza con la trasformazione del bene originario. Elemento costante ed essenziale è la dichiarazione di pubblica utilità. La mancanza della dichiarazione di pubblica utilità comporta il diritto del privato alla restituzione del bene (Cass. 15.12.1995 n. 12841) o, alternativamente, il diritto risarcitorio del danno subito , corrispondente non ad un indennizzo, bensì al valore reale del bene (Cass. 4.3.1997 n. 1907). Trattandosi di lesioni di diritto, nella classica (e forse oggi obsoleta) bipartizione fra Giudice dei diritti e Giudice degli interessi legittimi, si era soliti ammettere la giustiziane ordinaria come competente nei casi de quibus . La materia è in realtà destinata ad essere rivisitata a seguito della ripartizione di giurisdizione operata dal D. Lgs 80/98, in particolare circa la riconducibilità del problema alla materia urbanistica o meno. Per un concetto “urbanistico” della materia (con conseguente giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo) si sono pronunciati alcuni Giudici di merito (Trib. Palermo 6.5.1999; Trib. Trani sez. Molfetta 18.5.1999). Di contro il Tribunale di Napoli (21.11.1999 n. 1347) ha precisato che la materia espropriativi è nettamente separata da quella urbanistica. La querelle è ancora aperta. Resta assodato il diritto alla retrocessione del proprietario dante causa; se trattasi di retrocessione totale la giurisdizione dovrebbe del Giudice ordinario, nel caso di retrocessione parziale, spetterebbe la valutazione al Giudice amministrativo, ai sensi delle note preclusioni di cui all’Allegato E L.2248 del 1865. Una recente sentenza della prima sezione della Suprema Corte ha affermato che la mancata realizzazione di un’opera pubblica consente ai soggetti espropriati di recuperare la proprietà del bene, una volta maturati i termini temporali di cui all’art. 1158 c.c. La Corte di Cassazione con sentenza 5293/2000, depositata il 22 aprile 2000, afferma che il possesso ventennale da parte degli ex proprietari ha comportato il riacquisto del bene in virtù dell’usucapione. Circa l’inusucapibilità di un bene soggetto a destinazione pubblica, la Corte afferma che qualora l’Ente Pubblico (nella specie il Comune) non esegua l’opera pubblica, il bene entra nel patrimonio disponibile dell’Amministrazione e pertanto soggetto ad usucapione ordinaria. La sezione prima della Corte ha pertanto assodato che un bene immobile espropriato per ragioni di pubblica necessità può retrocedere per usucapione, se l’ente espropriante non realizzi le opere di pubblica utilità entro il termine di vent’anni.
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Autore: Avv. Marco Boretti |
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