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Espropriazione e diritto
In occasione della recente approvazione della legge finanziaria, lo Stato italiano, nel persistente intendimento di risanare il dissestato bilancio, ha confezionato l’ulteriore “perla” di un’ ormai lunga collana gravante sulle spalle del cittadino. “Perla” che effettivamente contribuisce a relegarci ai confini di un’evoluta civiltà giuridica. Peraltro l’effettiva realtà qualitativa della produzione normativa statuale risulta chiaramente evidenziata dagli innumerevoli richiami e condanne inflitte dai vari organismi comunitari allo Stato italiano per violazione dei principi imprescindibili in un moderno ed evoluto ordinamento.
Dispone il comma 61 dell’art.1 della L.n.549/95: “il comma 6 dell’articolo 5-bis del D.L. 11 Luglio 1992 n.333 …… è sostituito dal seguente: “Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano in tutti i casi in cui non sono ancora determinati in via definitiva il prezzo,l’entità dell’indennizzo e/o del risarcimento del danno alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”.
Al di là delle varie altre implicazioni connaturate al nuovo dato normativo, ciò che immediatamente balza all’evidenza è la sconcertante positiva affermazione del principio che lo Stato italiano (così come ogni altro ente astrattamente legittimato ad attività espropriativa), nella materia espropriativa e nei relativi rapporti con il cittadino, è legibus solutus, non tenuto cioè al rispetto delle norme procedimentali in materia di espropriazione; di quelle regole cioè che lo stesso Stato ha normativamente enucleato a tutela degli interessi e diritti del cittadino, peraltro costituzionalmente garantiti (e singolarmente la classe politica si affanna a sollecitare una revisione normativa, più consona ad una effettiva tutela del cittadino nei rapporti con la pubblica amministrazione).
Adottando un linguaggio volutamente atecnico e quanto più possibile comprensibile, è dato affermare come, in virtù della citata norma, fattispecie in passato colpite dagli strali della riprovazione etica, in particolare l’aver posto la pubblica amministrazione in essere comportamenti omissivi e/o commissivi in violazione delle regole poste a tutela dell’interesse e del diritto del cittadino in odore di atti ablativi a suo carico, risultano ormai qualificati, forse nell’intendimento di coloro che si sono assunti la paternità diretta della norma in questione, eticamente non riprovevoli.

L’ablazione del diritto di proprietà del cittadino, senza osservanza alcuna delle minime regole da parte dell’ente espropriante, non potrà più esporre quest’ultimo a dover rispondere del danno effettivamente cagionato, men che meno nel caso che lo stesso abbia conseguito l’effetto (l’annientamento del diritto del cittadino) temerariamente (cosa peraltro non eccezionale), in carenza di qualsivoglia potere. L’Ente, pertanto, non potrà più essere chiamato a rispondere dell’effettivo pregiudizio cagionato al cittadino, secondo le regole dell’effettività del danno, in realtà degradato a indennizzo (con pratica notevole riduzione del quantum da riconoscersi al privato e con l’effettiva negazione della ricorrenza di un danno patrimoniale extra-contrattuale, come stabilito dal Codice civile), termine quest’ultimo ontologicamente incorrelabile al risarcimento (del danno), con l’effetiva e pratica negazione della necessità per l’Ente di rispettare le regole pur dettate a tutela del cittadino. Le conseguenze patrimoniali a carico dell’Ente (e correlativamente a “favore” del privato, in considerazione del sacrificio del suo diritto di proprietà) non muteranno, sia che l’Ente abbia operato con l’osservanza dei limiti normativi impostigli, sia nella diversa ipotesi che l’Ente abbia posto in essere attività al di fuori delle “regole” positive. Ciò necessariamente implica come di fatto l’Ente avrà effettivamente licenza di violare la legge e addirittura di operare in assenza di qualsiasi potere. Alla luce delle persistenti e allarmanti cronache sulla mala gestio della cosa pubblica, non c’è chi non veda come la portata e gli effetti indotti dalla norma introdotta risultano inaccettabili da un punto di vista etico, oltre che propriamente giuridico, anche in considerazione della singolare pretesa di richiedere al cittadino (prima tra tutte l’osservanza delle regole) ciò che lo Stato dispensa a se stesso,in contrasto con l’acquisito principio secondo cui anche l’Ente pubblico, allorquando agisce illegittimamente e illecitamente, deve assimilarsi al privato e pertanto è assoggettato alle regole dello ius privatorum in punto al risarcimento dell’effettivo e totale danno cagionato (dovendosi altresì integrare il quantum del sacrificio patrimoniale cagionato, con gli interessi e la rivalutazione monetaria). Principio di conquista fondamentale della civiltà giuridica ed etica in ordine ai rapporti instauratisi tra lo Stato (e altri Enti pubblici) e i cittadini, proprio in virtù del riconosciuto status di cittadino, e non di vassallo, in capo al privato soggetto, riconosciuto elemento pur esso non solo passivo di un determinato ordinamento. L’attività illecita posta in essere dall’Ente a danno del privato, in quanto evidentemente a parere dei confezionatori della “perla” non socialmente riprovevole, non potrà più giustificare l’insorgere del cittadino avverso l’attività illegittima e illecita posta in essere, invocando innanzi al Giudice il proprio diritto a vedersi risarcito dall’effettivo e integrale danno cagionatogli. Considerate le allarmanti cronache sulla mala gestio della cosa pubblica, non v’è chi non veda come la portata e gli effetti indotti dalla norma introdotta risultano inaccettabili da un punto di vista etico, oltre che propriamente giuridico. Altre gravissime conseguenze della “innovazione” non vanno certo sottovalutate. Anni di lavoro (in considerazione dell’operatività della norma per tutte le situazioni pregresse non definite) di giudici, di avvocati, di periti, con tutti gli enormi costi sopportati dal cittadino nella illusoria aspettativa di vedere riaffermate le regole del diritto, risultano sacrificati all’altare della ragion di Stato, non restando ormai al cittadino, oltre che espropriato vessato, altra via che intraprendere.... ulteriori iniziative giudiziarie per vedersi riconosciuto (sempre che nei lustri all’uopo occorrenti non sopraggiunga qualche ulteriore “perla”) almeno un’indennità,pur anche non correlata all’effettivo danno subito. Ciò in considerazione del fatto che, come generalmente consta, l’Ente raramente provvede sua sponte a rifondere il cittadino delle conseguenze patrimoniali della propria attività illecita. Per scongiurare il pericolo di un tracollo del senso dello Stato e della fiducia riposta nella classe politica, imprescindibile forza propulsiva di ogni società in evoluzione, occorrerà che lo Stato ridefinisca la propria configurazione etica, oltre al suo proprio ruolo nei rapporti con il cittadino. Uno Stato che non potrà certo ulteriormente e senza nefasti effetti assumere le vesti del leviatano che riafferma la propria bruta forza, fino al prezzo dell’abdicazione di ogni minima regola di diritto, con tutti i fischi che ne conseguirebbero circa il mantenimento entro i livelli di guardia della conflittualità nei rapporti con il cittadino.

Gennaio 1996

Autore: Avv. Giorgio Valentini


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