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I diritti della difesa nella nuova Europa unificata e costituzionale (1)

Il Trattato che istituisce una Costituzione per l'Europa, sottoscritto dai rappresentanti dei venticinque Stati dell'Unione Europea il 29 ottobre 2004 a Roma, nella stessa città nella quale quarantasette anni prima erano stati sottoscritti i Trattati che sancivano l'inizio della concretizzazione del sogno politico e culturale di un’Europa unita che era stato di Alcide De Gasperi, di Robert Schuman, di Konrad Adenauer -e prima ancora, tra gli altri, di Voltaire, di Montesquieu, di Kant, e dei nostri Giuseppe Mazzini e Carlo Cattaneo- rappresenta -in una valutazione complessiva- la sintesi di tutti i trattati accumulatisi in cinquant’anni, con la sola eccezione del trattato Euratom.

In questa prospettiva è sostenibile ritenere che con l’entrata in vigore della Costituzione europea -all’atto della notifica da parte degli Stati membri dell’Unione dell’avvenuta ratifica del trattato, secondo le modalità -parlamentare o referendaria- previste dalle legislazioni interne, eventualità, questa, oggi lontana dopo la bocciatura per via referendaria di francesi e olandesi-[2] tutti noi avremo acquistato lo status di cittadini di una nuova Europa, unificata e costituzionale. Dobbiamo augurarcelo? La domanda anticipa i contenuti delle riflessioni che andrò articolando, in considerazione del tenore delle conclusioni cui sono giunto, o, meglio, degli interrogativi che sono rimasti senza risposta e dei dubbi che continuo a nutrire nell’analisi del quadro normativo prospettato dal progetto di Costituzione con riferimento ai diritti della difesa in ambito penale.

Il 29 ottobre scorso si è concluso un iter procedurale che potremmo -convenzionalmente- far partire dalla data del 14 febbraio 1984, quando il primo Parlamento Europeo eletto a suffragio universale ha, di fatto, introdotto il tema della necessità di una copertura costituzionale dell'Europa, approvando a larga maggioranza la relazione -allora valutabile, e in effetti da molti ritenuta, visionaria- di Altiero Spinelli, il quale nel suo progetto di trattato sull'Unione Europea proponeva una riforma in termini di ri-fondazione della Comunità Europea.

Da allora i Trattati che si sono succeduti negli anni hanno costituito altrettante tappe nel cammino percorso verso la meta di una effettiva copertura costituzionale dell'Europa.[3]

È la dichiarazione sul futuro dell'Europa, allegata all'atto finale della Conferenza Intergovernativa (CIG) del 2000, a tracciare il percorso per giungere alla stesura di un nuovo trattato di riforma, segnando, in effetti, il primo passo verso la Costituzione dell’Europa. Per giungere al dicembre 2001, quando il Consiglio dell'Unione europea approva la c.d. «dichiarazione di Laenken» istitutiva della Convenzione incaricata di predisporre una bozza di Costituzione europea la cui presidenza viene affidata a Valery Giscard d'Estaing. Dopo tre anni di lavori -dal 28 febbraio 2002, data in cui nella sede del Parlamento europeo di Bruxelles si tiene la riunione costitutiva della Convenzione al 17-18 giugno 2004, quando, nel corso del vertice europeo svoltosi nella capitale del Belgio i Capi di Stato e di Governo dei Venticinque, al termine dei negoziati della CIG 2003/2004, raggiungono il compromesso sul testo costituzionale- vede la luce nella sua stesura definitiva il trattato che istituisce una Costituzione per l'Europa, che l’Italia ha ratificato con la legge 7 aprile 2005 n. 57.

A testimoniare la portata costituzionale del progetto di trattato possono individuarsi -limitandoci a quanto di interesse in questa sede- per un verso il preambolo, con l'elenco dei valori che fondano l'Unione (art. I-2) e l’indicazione degli obiettivi dell’Unione (art. I-3), dall’altro l'inserimento del testo integrale della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (parte II), approvata nel dicembre 2000 dal Consiglio europeo riunitosi a Nizza, con il fine di garantire i diritti civili fondamentali a tutti i cittadini degli Stati facenti parte dell’Unione.

Prima della Carta di Nizza è stata la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) del 1950 a rappresentare il principale strumento giuridico di garanzia del rispetto dei diritti e delle libertà dell’uomo a livello europeo.[4] Benché la Comunità europea non abbia aderito in quanto tale a questa Convenzione, tutti gli Stati membri sono parti contraenti, e quindi obbligati a darne applicazione ─più propriamente, a farne dare applicazione da parte dei giudici nazionali che sono i primi destinatari e tutori dell’applicazione delle norme della CEDU─ nell’ambito del proprio ordinamento giuridico nazionale e a favore di chiunque, senza eccezione alcuna.

Per garantire il rispetto dei diritti fondamentali nell'Unione Europea la Corte di Giustizia delle Comunità Europee, nell’elaborazione della propria giurisprudenza, si è basata proprio sui principi definiti dalla CEDU, oltre che sulle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri.

È a partire dal 1974[5] che la Corte ha affermato che i diritti fondamentali fanno parte dei principi generali dell’Unione alla cui tutela l’istituzione è tenuta. Negli anni la Corte, sentenza dopo sentenza, è andata implementando il numero dei diritti ritenuti meritevoli di tutela, giungendo a riconoscere, negli ani Ottanta,[6] il diritto ad una protezione giudiziaria efficiente e ad un giusto processo.

E veniamo ad oggi. A leggere i «Valori dell’Unione» con cui è rubricato l’art. I-2 è legittimo prospettarsi un trattato i cui contenuti in tema di giustizia siano coerenti con il «rispetto […] dello Stato di diritto» e il «rispetto dei diritti umani». Ma a leggere il titolo VI della parte II della Costituzione ci si ritrova di fronte unicamente a quattro articolati normativi ─dei 448 di cui si compone il trattato─ dedicati alla giustizia. Di questi l’art. II-107 sancisce il diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale;[7] l’art. II-108 la presunzione di innocenza e i diritti della difesa;[8] il II-109 i principi della legalità e della proporzionalità dei reati e delle pene;[9] il II-110 il diritto di non essere giudicato o punito due volte per lo stesso reato.[10] Dei quattro due ─il II-109 e il II-110─ assumono una rilevanza marginale nell’ottica della nostra prospettazione, che ha natura processuale, o, più in generale, procedimentale. Quindi, in ultima analisi, parrebbe fondato sostenere che gli articoli della Costituzione europea in tema di giustizia siano due, il II-107 e il II-108.

A ben leggere il II-107 ─e raffrontandone il tenore letterale con quello dell’art. II-108, che tratta espressamente al 1° comma dell’«imputato» e al 2° comma dei «diritti della difesa» garantiti allo stesso─ sembrerebbe che il primo sia stato pensato e scritto in termini civilistici, più propriamente processualcivilistici. Una diversa lettura non pare possa darsi all’espressione «ricorso»[11] per la tutela dei «diritti» e delle «libertà garantiti dal diritto dell’Unione» che l’individuo asserisca essere stati «violati». Neppure leggendo il n. 47 delle Spiegazioni relative alla Carta dei diritti fondamentali, inserite tra le Dichiarazioni relative alle disposizioni della Costituzione allegate all’atto finale del trattato.[12]

Ma se così è pare logico ritenere che l’unico articolo della Costituzione europea in tema di giustizia penale sia il II-108, secondo cui, per quanto qui di rilievo, «Il rispetto dei diritti della difesa è garantito ad ogni imputato».

Undici parole che, nell’intento dei padri costituenti dell’UE, riassumerebbero ─o dovrebbero riassumere─ il diritto inviolabile alla difesa in ogni stato e grado del procedimento ─sancito dal 2° comma dell’art. 24 della nostra Carta Fondamentale, il diritto per i non abbienti ai mezzi per difendersi davanti ad ogni giurisdizione ─assicurato dal 3° comma dell’art. 24 della nostra Costituzione, il diritto all’attuazione della giurisdizione mediante il giusto processo regolato dalla legge ─nella formulazione del 1° comma dell’art. 111 della fonte normativa primaria del nostro ordinamento, il diritto a un processo svolto nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità ─così il 2° comma dell’art. 111 della nostra Costituzione, articolo che riconosce, tra gli altri, anche il diritto della persona accusata di un reato di essere, nel più breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico, il diritto di disporre del tempo e delle condizioni necessari per preparare la difesa, la facoltà, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, inoltre di ottenere la convocazione e l'interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell'accusa e l'acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore, il diritto di essere assistiti da un interprete. E ancora, il diritto alla formazione della prova secondo le regole dal principio del contraddittorio, il principio che la colpevolezza dell'imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo difensore, il diritto alla motivazione di tutti i provvedimenti giurisdizionali, il diritto a ricorrere contro le sentenze e i provvedimenti sulla libertà personale.

Diritti e principi che in Italia sono garantiti al livello più alto nel sistema delle fonti del diritto. E nell’Europa disegnata dal trattato istitutivo della Costituzione?

Nella Carta dei diritti fondamentali di Nizza, quindi nella parte II della Costituzione europea, risulta assente un’espressa previsione dei diritti giudiziari e dei principi del giusto processo. Anche i riferimenti che si possono ricondurre a un processo «equo», come si legge nell’art. II-107 -non «giusto», perciò- appaiono generici, indefiniti, privi -in definitiva- di un rilievo giuridico. Non può trattarsi, come in effetti non si tratta, di imperfezioni di tecnica legislativa o di stile: quanto è dato leggere nel testo del trattato è l’ovvio e naturale risultato del compromesso operato tra gli assetti dei diversi sistemi giudiziari degli Stati membri dell’Unione. Pensiamo solo all’incompatibilità strutturale ravvisabile nel raffronto tra il nostro modello accusatorio di processo e quello inquisitorio di matrice franco-napoleonica proprio di gran parte dell’Europa continentale.

Del resto, non dovrebbe destare stupore e perplessità il riflettere che quanto è stato evidenziato in termini di deficit normativo sembra trovare la propria giustificazione nella valutazione dei punti cardine intorno ai quali si snoda l’articolato normativo della Costituzione europea. Pensiamo all’attribuzione della personalità giuridica in capo all’Unione Europea, all’accorpamento dei trattati vigenti in un’unica fonte normativa, all’incorporazione sic et simpliciter della Carta dei diritti fondamentali di Nizza, alla fusione dei c.d. tre pilastri della politica europea,[13] all’innovazione della forma di governo dell’Unione,[14] alle misure introdotte per migliorare la struttura e rafforzare il ruolo delle istituzioni dell’Unione, considerando le conseguenze dell’allargamento, al consolidamento della natura democratica dell’Unione,[15] alla diversa ripartizione delle competenze dell’Unione e degli Stati membri, alla riforma delle fonti normative e alla semplificazione degli atti legislativi,[16], all’introduzione di meccanismi per un effettivo rispetto del principio di sussidiarietà.[17]

E pensiamo -soprattutto- alla politica di sicurezza e di difesa comune dell’Unione europea.

Dal punto di vista strutturale, infatti, nella parte I del testo della Costituzione (formata da 60 articoli) riguardante l’architettura istituzionale, non poche norme (cfr. art. 3 comma 4, 16, 40, 41, 42, 43) trattano di questioni relative alla politica di sicurezza e di difesa comune. Il dato assume sicura rilevanza: non possiamo non chiederci il perché di queste scelte, il perché la giustizia, nella sua più ampia accezione, sia stata relegata dai padri costituenti in quattro articoli -o, come detto, in uno soltanto- quando alla sicurezza e alla difesa comune è stata riconosciuta ben maggiore considerazione, anche in termini di valutazione sostanziale e contenutistica di dette norme, tralasciando il mero dato numerico.

Analogo ragionamento può prospettarsi in relazione al capo IV della parte III del progetto, in tema di spazio giuridico europeo. Ad una semplice lettura delle norme appare di tutta evidenza la “disparità di trattamento” riservata alle questioni concernenti la giustizia rispetto alla parte che riguarda la sicurezza.

La materia trattata rappresenta -attualmente- il c.d. III pilastro dell’Unione, relativo alla costituzione di uno spazio unico di libertà, sicurezza e giustizia (SLSG), che ha visto la luce con il trattato di Amsterdam del 1997 nell’intento di perseguire i crimini considerati genericamente comunitari attraverso una stretta cooperazione nei settori dei servizi di polizia e della giustizia penale. Finalità che permea di sé il progetto di costituzione nella sua interezza e globalità, quasi a costituirne l’ossatura, delineandolo in termini di strumento di repressione più che di tutela delle libertà e dei diritti. Che fa della Costituzione più che una carta dei diritti dei cittadini una carta dei diritti degli Stati.

Se questo è il quadro d’insieme all’interno del quale ci muoviamo, il giudizio che deve esprimersi sul progetto non può che essere negativo.

Giudizio che di diverso tenore non potrebbe esprimersi neppure leggendo la Proposta di decisione quadro del Consiglio in materia di determinati diritti processuali in procedimenti penali nel territorio dell’Unione europea, presentata dalla Commissione nell’aprile del 2004.[18]

La proposta si pone molteplici obiettivi: l’accesso all’assistenza legale (diritto di "difesa tecnica") -sia nella fase delle indagini che in quella del processo- l’accesso all’interprete/traduttore, il diritto alla informazione di garanzia, la protezione di indagati e imputati appartenenti a categorie vulnerabili (portatori di handicap, sordomuti, etc.), l’assistenza consolare a stranieri, arrestati o fermati.

A ben vedere, però, al di là degli altisonanti proclami introduttivi, più che di garanzie sembra trattarsi, piuttosto, di condizioni di effettività -e quindi di efficacia- delle garanzie procedimentali e processuali, in definitiva delle pre-garanzie, come tali insuscettibili di essere validamente ed efficacemente azionate a tutela di indagati e imputati.

La velleitarietà della proposta non viene meno, anzi sembra accrescersi con la lettura del Parere espresso sulla stessa dalla Commissione giuridica del Parlamento europeo.[19]

Basti leggere il testo dell’emendamento n. 1 all’art. 2 par. 1, in tema di diritto dell’indagato all’assistenza legale. La Commissione del Parlamento propone di modificare l’espressione «al più presto possibile e nel corso di tutto il» in quella «in ogni stato e grado» del procedimento. Ma lascia invariato l’inciso «qualora esprima l’intenzione di volerne beneficiare» e, nella motivazione del parere, scrive che «La difesa tecnica degli indagati […] è obbligatoria e irrinunciabile». Il testo, però, non è stato modificato nel senso anzidetto. E dunque?

Si aggiunga, poi, che mentre la proposta di decisione quadro sui diritti processuali langue da oltre un anno, altri progetti di intervento in materia sembrano incanalarsi- meglio, essere incanalati- lungo corsie preferenziali: il riferimento è alla decisione quadro sul mandato d’arresto -già arrivato per l’Italia a destinazione[20], al mandato per l’acquisizione delle prove,[21] alla Procura europea.[22]

Nell’ottica di un diverso profilo di valutazione, e approfondendo alcuni spunti di riflessione, nel progetto architettonico della Costituzione europea tra le novità di maggiore rilievo deve annoverarsi l’art. 42 in tema di disposizioni particolari relative all’istituzione dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia (SLSG).

Qui, accanto a obiettivi di sicura novità il progetto innova anche in termini di strumenti di normazione le decisioni quadro previste dall’art. 34 TUE, prive di efficacia diretta negli ordinamenti nazionali, in quanto vincolanti negli obiettivi ma non nelle forme, perciò ininfluenti rispetto al quadro legislativo -anche penale- degli Stati, lasciano il posto alle leggi europee e alle leggi quadro europee (art. I-33), le prime obbligatorie e direttamente applicabili negli ordinamenti degli Stati membri, le seconde vincolanti i destinatari con riferimento al risultato, salva restando la competenza degli organi nazionali sulla scelta di forma e mezzi.

Appare evidente che gli strumenti normativi previsti dalla Costituzione potrebbero incidere, eventualmente, anche sulla struttura costituzionale del nostro sistema di diritto penale, sia sostanziale che processuale.

Ora, se nell’ambito del terzo pilastro dell’Unione europea, la cooperazione giudiziaria rafforzata in materia penale e, in particolare, l’attuazione del principio del mutuo riconoscimento dei provvedimenti giudiziari (che il Consiglio di Tampere del 1999[23] ha riconosciuto come pietra angolare della cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri) sono -oggi- ostacolati dalle differenze tra le normative statali in materia di tutela dei diritti delle persone indagate, imputate o condannate, l’introduzione di standards di tutela, condivisi da tutti gli Stati, potrebbe consentire il rafforzarsi -o, prima ancora, il formarsi- della fiducia reciproca tra i membri dell’Unione, agevolando così il riconoscimento e la esecuzione dei titoli giudiziari statali in ambito europeo. In altri termini, un più elevato grado di armonizzazione nel settore delle garanzie individuali corrisponderebbe, nella pratica, ad un maggiore livello di fiducia reciproca tra gli ordinamenti statali e ad una migliore funzionalità degli strumenti di cooperazione penale. Per questo motivo, il ravvicinamento delle legislazioni statali, che il Consiglio europeo di Tampere del 15-16 ottobre 1999 ha indicato nelle Conclusioni della Presidenza come uno degli obiettivi da perseguire nella costruzione del terzo pilastro, si pone in termini di necessità nella materia delle garanzie procedimentali e processuali.

A quale prezzo, però? L’errore in cui potrebbe cadersi è di sacrificare sull’altare dell’idea di una “Europa sempre, comunque e ad ogni costo” per la costruzione dello spazio giuridico europeo -in particolar modo se incentrato sulla sicurezza e sulla difesa comune- i valori -irrinunciabili- di diritto e di giustizia di una nazione, di un popolo, di uno Stato.

In termini di ultima analisi, mi pare di poter ritenere che ciò di cui i cittadini -e i pratici del diritto- dell’Europa “vivente” avvertono la necessità -e, forse, in questa chiave va letto il voto referendario di Francia e Paesi Bassi contrario al trattato costituzionale- non è una giustizia per l'Europa -come quella delineata dalla Costituzione europea- ma un’Europa della giustizia, in grado di garantire effettivamente i diritti fondamentali dell’uomo, e tra questi, in primis, l’inviolabile diritto di difesa.

 

Bibliografia:

[1] Testo -integrato e correlato di essenziali note con la collaborazione dell’avv. Ilaria Giraldo – Liut & Partners Studio Legale avv. Gianluca Liut di Venezia- della relazione tenuta al convegno “L’integrazione europea e la cooperazione giudiziaria in materia penale” svoltosi a Roma il 17/06/2005 presso la sala Carroccio del Campidoglio.

[2] Alla data del 15/06/2005 erano tredici gli Stati che ancora dovevano ratificare il Trattato costituzionale.

[3] L’Atto Unico Europeo (AUE) del 1987 -pensato nell’ottica del completamento del mercato unico entro il 1992, il Trattato sull'Unione europea (Trattato UE) di Maastricht del 1992 -che ha formalizzato l’istituzione dell'Unione Europea in termini non solo di comunità economica ma di unione politica, dotandola di una politica estera e di sicurezza comune (PESC) e di una cooperazione in materia di giustizia e affari interni (JAI), il trattato di Amsterdam del 1997 -che ha per così dire consacrato i principi di libertà e di democrazia e i diritti fondamentali dell'uomo, definendo i primi elementi di una politica comune in materia di libertà, di sicurezza e di giustizia, il trattato di Nizza del 2001 -ulteriore tappa nel processo di riforma delle istituzioni comunitarie.

Con la firma del trattato di Nizza del 2001, il diritto comunitario si fondava su otto trattati, cui si aggiungevano una cinquantina tra protocolli e allegati. Considerando che i trattati non si sono limitati a modificare il trattato CE originario ma hanno creato altri testi che hanno integrato il medesimo, l’insieme di tutti questi atti ha reso la struttura europea sempre più complessa e sempre più lontana dai cittadini europei.

[4] Il trattato di Roma che istituisce la Comunità e il trattato di Maastricht non includevano un elenco dei diritti fondamentali. Solo il principio della parità di retribuzione tra uomini e donne figura, fin dal principio, all'articolo 119 del trattato (attuale articolo 141). Tuttavia, il preambolo dell'Atto unico del 1986, quindi l'articolo 6 (ex-articolo F) del trattato sull'Unione europea, hanno integrato formalmente l'obbligo per l'Unione di rispettare i diritti definiti dalla CEDU.

Il trattato di Amsterdam, poi, ha rafforzato le disposizioni esistenti in materia di protezione dei diritti fondamentali (articoli 6 e 7 del trattato sull'UE), istituendo una serie di principi fondatori dell'Unione («la libertà, la democrazia, il rispetto dei diritti dell'uomo, le libertà fondamentali, nonché lo stato di diritto»), inoltre decretando la competenza della Corte di Giustizia nel garantire l'osservanza di questi principi da parte delle istituzioni europee, infine prevedendo l’irrogazione di sanzioni in caso di violazione di questi principi da parte di uno Stato membro, prevedendo la sospensione di determinati diritti dello Stato riconosciuto responsabile di una violazione del genere (art. n. 7 TUE).

[5] Sentenza c.d. Casagrande, 1974.

[6] Sentenza Johnston/Chief constable of the Royal Ulster Constabulary, 1986. E, sei anni prima, la sentenza Pecastaing/Belgio.

[7] II-107 Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale. ─Ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo.

Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente e entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge. Ogni persona ha facoltà di farsi consigliare, difendere e rappresentare.

A coloro che non dispongono di mezzi sufficienti è concesso il patrocinio a spese dello Stato, qualora ciò sia necessario per assicurare un accesso effettivo alla giustizia.

[8] II-108 Presunzione di innocenza e diritti della difesa.- 1. Ogni imputato è considerato innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente provata.

[9] II-109 Principio della legalità e della proporzionalità dei reati e delle pene. ─1. Nessuno può essere condannato per un’azione o un’omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o il diritto internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso. Se, successivamente alla commissione del reato, la legge prevede l’applicazione di una pena più lieve, occorre applicare quest’ultima.

2. Il presente articolo non osta al giudizio e alla condanna di una persona colpevole di un’azione o di un’omissione che, al momento in cui è stata commessa, costituiva un crimine secondo i principi generali riconosciuti da tutte le nazioni.

3. Le pene inflitte non devono essere sproporzionate al reato.

[10] II-110 Diritto di non essere giudicato o punito due volte per lo stesso reato. ─Nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato condannato o assolto nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge.

[11] Qualificato «effettivo». Potrebbe dubitarsi ─a voler esprimere un giudizio sulla tecnica legislativa adottata dai padri costituenti dell’UE─ che l’effettività debba intendersi quale efficacia in termini di tutela e difesa del diritto o della libertà azionati. La norma ─stando alla lettera del disposto─ potrebbe anche leggersi nel senso che il diritto al ricorso dinanzi a un giudice sussiste ed è meritevole di tutela in tanto quanto il ricorso proposto risponde a determinate prescrizioni procedimentali o processuali. Un tanto si osserva ─paradossalmente, certo─ a voler sottolineare come anche nella forma la Costituzione evidenzi imperfezioni, imprecisioni, lacune dalle quali traspare una certa quale “urgenza” che sembra avere spinto quasi a marce forzate la Convenzione prima e la Conferenza Intergovernativa poi nella redazione e nella stesura del progetto di trattato.

[12] Adottate dalla Conferenza dei rappresentanti degli Stati membri riuniti a Bruxelles il 30 settembre 2003.

[13] Inserendo le attuali disposizioni in un unico quadro giuridico comune.

[14] Che non utilizza più istituzioni plurivalenti a seconda dei pilastri di appartenenza.

[15] Mediante la previsione di un’espansione del ruolo e dei poteri del Parlamento, del raddoppiamento dei settori della legislazione cui si applica la procedura di coadesione -che diventa l’iter ordinario, di un più ampio coinvolgimento dei Parlamenti nazionali nella vita dell’Unione.

[16] Con l’introduzione delle categorie della legge e della legge quadro.

[17] Che insieme a quello di proporzionabilità diventa sindacabile da parte della Corte di Giustizia.

[18] Consiglio dell’UE, 113/2004 (CNS) COM (2004) 328.

[19] Parlamento Europeo, Commissione giuridica, 2004/0113 (CNS) del 03/02/2005.

[20] Legge 22/04/2005, n. 69 “Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri”, in Gazzetta Ufficiale n. 98 del 29-4-2005.

[21] Proposta di decisione quadro (doc. COM 2003/688) del Consiglio europeo, relativa alla creazione di un mandato europeo di ricerca delle prove diretto al reperimento di oggetti, documenti e dati da utilizzare a fini probatori nel quadro di procedimenti penali (non pubblicata nella Gazzetta ufficiale).

[22] L’11/12/2001 la Commissione dell’Unione ha elaborato il Libro verde sulla tutela penale degli interessi finanziari comunitari e sulla creazione di una procura europea (com. 2001-715, def., non pubblicato nella Gazzetta ufficiale). Il Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa, nell’ambito del Titolo III destinato a disciplinare le competenze dell’Unione, prevede per la realizzazione dello Spazio di libertà, Sicurezza e Giustizia, all’art. III/175, la creazione di una Procura europea per combattere la criminalità grave che presenta una dimensione transnazionale e i reati che ledono gli interessi dell’Unione.

[23] Il 15 e 16 ottobre 1999, a Tampere, il Consiglio europeo ha tenuto una riunione straordinaria sulla creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nell'Unione europea.


Autore: Gianluca Liut


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