La recente decisione della Corte di Cassazione n. 4683 del 18 gennaio 2007 rappresenta il consolidamento di un indirizzo restrittivo, nonostante il diverso orientamento diffuso tra le Corti di merito (Trib. Roma, 08-04-2004; Trib. Trento, 24.10.2002).
Le maglie dei giudici di legittimità, in particolare, si stringono intorno alla figura del c.d.”migrante economico” e contro la possibilità che esso possa invocare la propria indigenza per essere scusato dall’intimazione a lasciare il Paese.
Più in generale, la Suprema Corte stimola i giudici ad un vaglio critico delle allegazioni di parte, lungo una linea di rigoroso accertamento della condizione di concreta inesigibilità dell’inottemperanza.
I contorni del giustificato motivo.
Come noto, l’art. 14 comma 5-ter T.U. 286/98, primo periodo, stabilisce che: “Lo straniero che senza giustificato motivo si trattiene nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine impartito dal questore ai sensi del comma 5-bis, é punito con la reclusione da uno a quattro anni se l'espulsione é stata disposta per ingresso illegale sul territorio nazionale ai sensi dell'art. 13, comma 2, lettere a) e c), ovvero per non aver richiesto il permesso di soggiorno nel termine prescritto in assenza di cause di forza maggiore, ovvero per essere stato il permesso revocato o annullato (…)”.
Con la sentenza in esame, il Supremo Collegio ripercorre i dicta più recenti sui fuggevoli contorni della clausola del “giustificato motivo”, riproducendone parzialmente l’apparato argomentativo ed arricchendolo di alcuni spunti ulteriori.
In primo luogo, la Corte conferma l’esclusione dell’esimente in esame nel caso di scelta volontaria o libera dell’espulso (quale quella di presentare la richiesta di “sanatoria” e di attendere l’esito della relativa procedura amministrativa[1]); e, ancora, la necessità che il Giudice del merito dia risalto allo stato di un grave condizionamento psichico dello straniero, indotto dalle circostanze concrete, tali da rendere inesigibile l’ottemperanza all’ordine del Questore[2].
Quindi, la Corte afferma che l’esimente del giustificato motivo può consistere in una condizione di “oggettiva ed indiscutibile indisponibilità dei mezzi necessari e sufficienti per l’acquisto del titolo di viaggio per l’allontanamento “obbligato”.
Tuttavia, la decisione prospetta “…un ragionevole punto di equilibrio tra le esigenze di tutela sociale” cui è preposto l’Ordine di allontanamento,”.. ed i diritti fondamentali dello straniero, garantiti dalle norme costituzionali”. In tal senso non sarebbe sufficiente la mera difficoltà di adempiere l’Ordine, ma occorrerebbe la grave inesigibilità – soggettiva ed oggettiva – dell’adempimento, così come ribadita dall’ordinanza 386/2006 della Corte Costituzionale.
Non è esente da qualche perplessità, tuttavia, un certo rigore nell’indicare l’operazione logico-interpretativa gravante sul Giudice di merito, cui, secondo il Supremo Collegio, spetta – anche officiosamente – il compito di esaminare: a) la presumibile situazione economica dello straniero, avuto riguardo dei proventi di qualsivoglia fonte, del tempo di permanenza irregolare nel Paese, nonché dell’inserimento sociale dello stesso; b) il costo presumibile per l’acquisto del biglietto, non necessariamente verso il Paese di origine, non essendo ciò specificato nell’art. 14 comma 5-bis T.U..
A parte la frequente difficoltà di individuare con certezza gli indici elencati, non appare condivisibile la valutazione del costo del semplice attraversamento della frontiera, ritenendo cioè non necessario il ritorno dello straniero nel Paese di residenza o di provenienza.
A tacer d’altro, l’art. 13 comma 12 del T.U., infatti, nel disciplinare l’istituto dell’espulsione amministrativa, specifica che
“…lo straniero espulso é rinviato allo Stato di appartenenza, ovvero, quando ciò non sia possibile, allo Stato di provenienza”. Né sembra pienamente rispettoso della dignità dello straniero il sostanziale disinteresse dello Stato a quo per il luogo di destinazione del migrante che si allontani dal territorio nazionale.
Resta, in ogni caso, per l’interprete, la sensazione di una incontestabile vaghezza del concetto di “giustificato motivo”, e che il pur comprensibile sforzo dei giudici di legittimità di evitare la sostanziale elusione della norma di cui all’art. 14 comma 5-ter T.U., non valga ad elidere l’indeterminatezza del precetto penale e, sotto una diversa luce, finisca di fatto per imporre alla difesa un non facile onere dimostrativo[3].
L’onere di allegazione
In tema di onus probandi del giustificato motivo di trattenimento, si ritengono generalmente applicabili i principi in materia di prova delle esimenti, costituendo il giustificato motivo una causa “speciale” di giustificazione, presente in diverse fattispecie criminose previste dai codici e dalle leggi speciali[4].
Orbene, nel solco di quanto già enunciato dalla menzionata pronuncia del Giudice delle leggi, la Cassazione ribadisce che lo straniero avrebbe un onere di allegare i fatti non conosciuti e non conoscibili dal giudice, dedotti a fondamento della causa giustificativa, ivi compresa l’assoluta impossidenza tale da impedirne l’acquisto di un titolo di viaggio[5].
Se l’onere di allegazione si risolverebbe nell’indicare solo un “principio di prova”, ciò solleva più di una perplessità circa la compatibilità di tale onere con la presunzione di non colpevolezza ed il diritto al silenzio dell’imputato.
Né sembra perfettamente aderente al dettato costituzionale il rischio, non infrequente nella pratica, che la mancata prova si risolva a carico dello straniero che non sia riuscito ad offrirla.
Senza considerare che i poteri di indagine sugli elementi addotti dallo straniero spettano, ovviamente, alla Pubblica accusa, su cui graverà l’onere di attivarsi per ampliarne i contenuti e ricercare, se del caso, le fonti della prova, anche in senso favorevole al reo, conformemente a quanto previsto dall’art. 358 c.p.p.
Diversamente, resta incontroverso che, in base all’art. 530 comma 3° c.p.p., anche il dubbio sull’esistenza di una causa di giustificazione impone l’assoluzione dell’imputato.
Con riguardo al comune caso dello straniero indigente, ben potrà essere sufficiente, ad avviso di chi scrive, allegare la propria condizione di grave bisogno economico, ove ricorrente, per assolvere gli oneri derivanti dai principi in vigore in tema di prova, gravando poi sulla Pubblica accusa di provare l’insufficienza degli elementi addotti e sul Giudice il compito di vagliarne la coerenza, secondo le linee interpretative enucleate dalla Cassazione (ad es., con riguardo alle fonti di guadagno, anche illecite, dello straniero, l’esame di esse sarà possibile anche attraverso l’analisi dei precedenti penali, etc.).
La prova dell’insussistenza del giustificato motivo dev’essere dunque fornita dall’accusa, pur nella consapevolezza che tale compito può rivelarsi estremamente arduo, specie ove il Pubblico Ministero sia tenuto a dimostrare che nel caso concreto lo straniero non versi in condizione di indigenza, cosa che peraltro può trovare facile conferma nella condizione di chi non può accedere ad un lavoro regolare.
Tali difficoltà tuttavia, non possono certo modificare le regole processuali sancite in tema di prova e che rappresentano l’applicazione di principi fondamentali del sistema penale[6], e fermo restando il potere del Giudice di formare il proprio libero convincimento mediante elementi desunti aliunde, e dotati di rilevanza propria, nonché quello di rilevare direttamente, quando possibile, l'esistenza di ragioni legittimanti l'inosservanza dell’ordine del Questore.
Conclusioni
Nell’ottica di un ricorso massiccio del legislatore allo strumento penale, allo scopo di disciplinare le patologie dei fenomeni migratori, l’interprete sembra dunque doversi cimentare nel tentativo di riempire le imperfette formule legislative in vigore.
Muovendo su tali linee la sentenza in esame, con rinnovato rigore, talvolta evidente persino nell’aggettivazione utilizzata, intende accentuare il compito di analisi del giudice circa le allegazioni dell’imputato straniero in tema di inottemperanza dell’Ordine di allontanamento del Questore, quasi a voler scongiurare il rischio di interpretazioni “morbide” da parte dei Giudici di merito.
Dall’analisi dei parametri enucleati dalla Suprema Corte, traspare così un generale restringimento delle ipotesi in cui il migrante bisognoso possa invocare l’esimente del “giustificato motivo”.
Ciò che, tuttavia, non sembra aderire ai principi di garanzia che presiedono il sistema processual-penalistico, è che si finisca - ben al di là delle allegazioni fornite dall’imputato - per trasferire la valutazione circa la sussistenza o meno del giustificato motivo di trattenimento ad una sempre più ampia discrezionalità del Giudicante.
Bibliografia:
[1] Vedi Cass. pen, Sez. I, sent. n. 48863 del 20 novembre 2003.
[2] Vedi Cass. pen. Sez. I, sent. n. 32929 del 2 settembre 2005.
[3] Per una recente critica, vedi P. Barzelloni, voce Immigrazione, Digesto Disc. Pen., Agg., Utet Torino,2004, Tomo II p.380.
[4] Nell’importante sentenza n. 5, 18 dicembre 2003-13 gennaio 2004, la Corte Costituzionale elenca diffusamente le norme incriminatrici che prevedono il giustificato motivo di cui all’art. 14 comma 5-ter T.U., definito come “elemento negativo interno allo stesso fatto tipico” (Punti 2.1 e 2.4).
[5] Conformemente all’ indirizzo dei giudici costituzionali, si afferma che: “In tema di cause di giustificazione, incombe sull'imputato, che deduca una determinata situazione di fatto a sostegno dell'operatività di un'esimente, se non un vero e proprio onere probatorio, inteso in senso civilistico, un compiuto onere di allegazione di elementi di indagine per porre il giudice nella condizione di accertare la sussistenza o quanto meno la probabilità di sussistenza dell'esimente“ (Cass. pen. Sez. VI, 12 febbraio 2004, n. 15484).
[6] Sul punto, v. A. Caputo, Prime applicazioni delle norme penali della legge Bossi-Fini, Questione Giustizia, 2003, p. 133.