SOMMARIO: 1. Il reato di diffamazione. 2. Le circostanze che escludono la punibilità dell'offesa alla reputazione. 3. I presupposti per un corretto esercizio del diritto di cronaca. 4. Gli strumenti di tutela della reputazione.
1. Il reato di diffamazione.
Con il termine reputazione si intende comunemente la stima, l'opinione e la considerazione di cui ciascuno gode nel contesto sociale e dei rapporti personali o professionali. L'onore e la reputazione sono protetti dall'art. 595 del codice penale a norma del quale commette il reato di diffamazione chiunque, comunicando con più persone, offende la reputazione altrui, prevedendo per il colpevole la pena della reclusione fino a un anno o la multa fino a lire due milioni. Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato (cioè attraverso il riferimento ad un episodio preciso e specifico), la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a lire quattro milioni. Tale aggravio di pena si spiega con il fatto che l'attribuzione ad un soggetto di un fatto determinato e specifico ha l'effetto di ingenerare nel destinatario una maggiore impressione di attendibilità delle circostanze narrate rispetto a quelle raccontate in modo vago, ipotetico o allusivo. Da ciò deriva un maggior pregiudizio per la vittima e la conseguente sanzione più aspra per l'autore dell'illecito. Se l'offesa è recata col mezzo della stampa (giornali, televisione, altri mezzi di informazione) o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità (tipo la rete Internet), la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a lire un milione. Nel caso di diffamazione commessa col mezzo della stampa, televisivo o radiofonico, consistente nell'attribuzione di un fatto determinato, si applica la pena della reclusione da uno a sei anni e quella della multa non inferiore a lire 500.000. Sempre nel caso di diffamazione a mezzo stampa è prevista anche una responsabilità, a certe condizioni, di direttore o vice-direttore responsabile, editore e stampatore della pubblicazione.
Le notizie diffamatorie possono essere diffuse sia con il mezzo dello scritto (articolo di giornale o altro tipo di pubblicazione), sia attraverso la pubblicazione di fotografie e, in tale ultimo caso, alla tutela della reputazione si aggiunge quella relativa all’immagine della persona interessata. L'aspetto più importante da sottolineare in materia di diffamazione è che, salvo casi estremamente particolari, il colpevole del reato non è ammesso a provare, a sua discolpa, la verità o la notorietà del fatto attribuito alla persona offesa. Ciò significa che non vale ad escludere il reato in questione la circostanza che il fatto offensivo sia vero o già noto per altra via.
2. Le circostanze che escludono la punibilità dell'offesa alla reputazione.
Per inquadrare correttamente la situazione normativa bisogna dire che la divulgazione di fatti e notizie diffamatori non è punibile nel caso in cui chi commette il fatto esercita un proprio diritto o agisce con il consenso della persona interessata. Quanto alla prima ipotesi precisiamo che, astrattamente, la pubblicazione di fatti e notizie di ogni tipo è riconducibile all'esercizio del diritto di cronaca quale specie della libertà di manifestazione del pensiero e del diritto - dovere di informare da parte dei giornalisti. A tale proposito l'art. 51 del codice penale stabilisce che «l'esercizio di un diritto [……] esclude la punibilità». La logica della norma è evidente e riposa su un principio di non contraddizione: se l’ordinamento riconosce ai cittadini un certo diritto non può poi punirli perché tale diritto è stato (correttamente) esercitato. Il diritto in questione è, appunto, quello di manifestazione del pensiero, inteso anche come diritto di cronaca giornalistica, di critica e di satira.
Se questo è vero, altrettanto innegabile è che l'esercizio della libertà di espressione esclude la punibilità della offesa alla reputazione solo quando questo diritto è correttamente esercitato, cioè non travalica i limiti imposti dal rispetto dei diritti altrui, altrimenti si ricade in un abuso del diritto che rende comunque punibile l’autore del fatto.
Ancora in materia di esercizio del diritto di cronaca occorre richiamare anche l'art. 59 del codice penale secondo il quale se chi commette il fatto ritiene per errore che esistano circostanze di esclusione della pena (quale è l'esercizio del diritto di cronaca), queste sono sempre valutate a favore di lui. Si tratta della situazione che in termini giuridici va sotto il nome di “esercizio putativo del diritto di cronaca”. In altre parole, chi commette il fatto diffamatorio non è punibile anche se credeva per errore di esercitare un diritto. Per chiarire, si pensi al caso in cui il cronista ritiene vero un fatto per avere effettivamente compiuto serie verifiche in merito, ma pur avendo diligentemente adempiuto il dovere di controllo della fonte della notizia, abbia una percezione erronea della realtà e racconti fatti effettivamente non rispondenti al vero. In questo caso il giornalista crede in buona fede di esercitare nei giusti limiti il proprio diritto di cronaca e, pertanto, risulterà non punibile.
La seconda causa di non punibilità riguarda il consenso del soggetto titolare del diritto alla reputazione, cioè della persona a cui i fatti si riferiscono. A tale proposito occorre citare l'art. 50 del codice penale, a norma del quale «non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, col consenso della persona che può validamente disporne». Questo significa che se la divulgazione di fatti o foto lesive della reputazione avviene con il benestare della persona interessata, l'autore dell'illecito non è punibile. Tale norma è stata spesso invocata da fotografi che dopo aver palesemente ritratto un personaggio noto e venduto per la pubblicazione le fotografie offensive si sono difesi eccependo la circostanza che, essendo nota la qualità di fotografo (e quindi il futuro uso delle foto) ed avendo la persona (implicitamente) acconsentito, il reato così commesso non era punibile.
In realtà la giurisprudenza ha chiarito che la causa di non punibilità rappresentata dal consenso del titolare del diritto presuppone che quest’ultimo abbia prestato un consenso valido e definitivo quanto all'oggetto della condotta illecita, alle sue modalità di estrinsecazione, alla collocazione storico - temporale della lesione del diritto. Quindi, secondo l'orientamento sopra citato, il consenso alla divulgazione dei fatti offensivi, per escludere la punibilità dell’agente, deve essere specifico e relativo ad un ambito di utilizzazione ben definito. Stessa efficacia è data dal consenso putativo che ricorre nel caso in cui, in base alle circostanze, sussista una ragionevole persuasione per l'agente di operare con il consenso della persona che può validamente disporre del diritto. Sulla rilevanza del putativo vale quanto detto sopra circa l’esercizio del diritto di cronaca.
3. I presupposti per un corretto esercizio del diritto di cronaca.
Si è detto che il diritto di cronaca deve essere esercitato correttamente e cioè senza travalicare i limiti imposti dall’ordinamento e dal rispetto dei diritti altrui. Entrando nello specifico di tali limiti, la giurisprudenza ha affermato che, in tema di diffamazione a mezzo stampa, il diritto di cronaca può essere esercitato (quando possa derivarne la lesione all'altrui reputazione, prestigio o decoro) soltanto qualora vengano dal cronista rispettate le seguenti condizioni:
a) che la notizia pubblicata sia vera (con l'obbligo del giornalista di accertare la verità della notizia e di controllare la attendibilità della fonte. Il giornalista quindi non può fidarsi di notizie rese pubbliche da altre fonti informative tipo altri giornali o agenzie, ma deve verificare personalmente e direttamente);
b) che esista un interesse pubblico alla conoscenza dei fatti riferiti in relazione alla loro attualità ed utilità sociale secondo il principio della pertinenza;
c) che l'informazione venga mantenuta nei giusti limiti della più serena obbiettività;
d) che l'esposizione sia corretta, in modo che siano evitate gratuite aggressioni all'altrui reputazione, secondo il principio della continenza, anche con riferimento alle modalità espressive e al tenore sintattico.
Il principio fondamentale messo a punto dalla Corte di Cassazione è dunque quello che il diritto di cronaca non esime di per sé dal rispetto dell'altrui reputazione e riservatezza, ma giustifica intromissioni (anche lesive) nella sfera privata dei cittadini solo quando esse possano contribuire alla formazione di una pubblica opinione su fatti oggettivamente rilevanti per la collettività. Solo se sussistono gli elementi di cui sopra (verità dei fatti, interesse pubblico prevalente, correttezza e continenza della forma espositiva) il diritto di cronaca è correttamente esercitato ed il giornalista che offende la reputazione altrui non è punibile per il reato di diffamazione.
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