Il diritto d’autore, nel suo contenuto patrimoniale, prevede la possibilità, concessa esclusivamente all’autore, di sfruttare economicamente la sua creazione in ogni forma e modo, nei limiti e per gli effetti fissati dalla legge (art. 2577 c.c.). I diritti esclusivi di sfruttamento economico che fanno capo all’autore sono elencati agli artt. 12 ss. della L. 633/1941, nota come legge sul diritto d’autore (LDA). Tra essi rientrano il diritto di pubblicare l’opera, di riprodurla e distribuirla. La tutela del diritto patrimoniale implica necessariamente che ogni forma di utilizzazione dell’opera dell’ingegno sia autorizzata, altrimenti l’utilizzazione si considera illecita. L’avvento della società dell’informazione, cioè delle tecnologie digitali, sempre più avanzate, e il mondo virtuale della rete, di cui Internet rappresenta il mezzo più utilizzato nella struttura della comunicazione, hanno notevolmente mutato l’assetto originario di tutela giuridica delle opere dell’ingegno e del loro possibile sfruttamento economico. La rete, infatti, consente la trasmissione delle opere in qualsiasi luogo, nonché la possibilità di riprodurle all’infinito. A ciò consegue una notevole difficoltà per l’autore di controllare le fruizioni delle opere stesse. L’avanzare delle tecnologie, poi, ha comportato la nascita e lo sviluppo di nuove tipologie di opere dell’ingegno, che necessitano di tutela relativamente al loro utilizzo, e che sono comprese nei dettami della legge sul diritto d’autore, ad esempio il software o le opere telematiche. Al fine di garantire una protezione giuridica adeguata alle nuove esigenze, offrendo una regolamentazione completa ed organica della circolazione delle opere di ingegno in ambiente digitale, una serie di Trattati internazionali e Direttive comunitarie sono intervenute, nel corso degli anni, a disciplinare la materia. Nella normativa nazionale, tutto questo ha portato alla modifica e integrazione del corpus della LDA. Definendo la distinzione tra utilizzazioni lecite e illecite delle opere d’ingegno in ambiente digitale, questi provvedimenti normativi hanno cercato di adeguare le forme di gestione del diritto d’autore all’evoluzione degli strumenti di utilizzo e circolazione delle opere. Alle tipologie contrattuali previste dalla LDA, se ne sono affiancate ulteriori, quali le licenze multimediali della SIAE e le licenze di copyleft. Il concetto di copyleft è una variante del noto copyright, dal contenuto meno restrittivo, che “generalmente viene tradotto come permesso di copiare”[1].
Le licenze Creative Commons.
Nate negli Stati Uniti nel 2001, le “Creative Commons” rappresentano una novità nel campo delle licenze copyleft, applicabili ad ogni tipo di opera creativa diffusa tramite web, al fine di contemperare sia l’esigenza di utilizzarle liberamente, sia quella di mantenere su di esse il diritto d’autore. Mediante questo strumento, infatti, l’autore può scegliere quali diritti vuole riservare a sé in modo esclusivo.2
A tal fine sono state elaborate varie tipologie di licenze, ciascuna con le proprie caratteristiche, in grado di assecondare le esigenze di chi intende utilizzarle. Peraltro, esse possono combinarsi tra loro in quanto compatibili.
In Italia, le Creative Commons sono state lanciate in rete il 16 dicembre 2004, giorno della loro presentazione, al termine di un progetto con cui l’Università di Torino e l’Istituto di elettronica e di ingegneria dell’informazione e delle telecomunicazioni (Ieiit) del Consiglio nazionale delle ricerche le hanno tradotte ed adattate alla normative nazionale.3
Attualmente, le licenze disponibili sono diverse. La prima, detta Attribution, prevede l’obbligo di citare, in caso di utilizzo dell’opera, l’autore e la fonte; la seconda, detta Non commercial, vieta che l’opera sia utilizzata per fini di lucro; nella terza, No Derivative Works, oltre ad essere comprese le condizioni delle prime due licenze, è fatto divieto di modificare l’opera; l’ultima licenza, Share Alike, prevede “l’attribuzione e condivisione allo stesso modo”, cioè le opere derivate devono essere distribuite con la stessa licenza dell’originale.4
Le licenze hanno valore internazionale per un tempo di 70 anni. I termini delle licenze sono inalterabili e l’autore e la fonte dell’opera devono sempre essere citati. Le opere per cui è richiesta la licenza Creative Commons sono contrassegnate dall’icona “alcuni diritti riservati”; chiunque abbia interesse può consultare la licenza utilizzata, per conoscerne il contenuto e fruire dell’opera lecitamente.
L’autore può poi decidere di rendere la propria opera di pubblico dominio, cioè lasciare che essa sia utilizzata, modificata e distribuita da chiunque.
Di recente, inoltre, sono state presentate delle licenze Creative Commons specifiche per le opere musicali in rete. Queste licenze sono chiamate Sampling e consentono il campionamento delle opere, cioè la creazione di opere musicali derivate da quelle originali, sia a fini di lucro sia per scopi non commerciali, nonché l’utilizzo dei brani mediante sistemi peer to peer, purchè non utilizzate per scopi commerciali. 5
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[1] P. Perri, I sistemi di licenza Open Source, in G. Cassano, Diritto delle nuove tecnologiche informatiche e dell’Internet, Ipsoa, ed. 2002;
2 Differentemente dal copyright secondo il quale “tutti i diritti sono riservati”, nelle licenze Creative Commons la dicitura cambia per diventare “alcuni diritti riservati”. Per approfondire, si consulti il sito: www.creativecommons.it;
3 La fase di adattamento delle licenze Creative Commons rientra nel progetto internazionale i-commons, volto allo studio, alla traduzione e all’adeguamento delle caratteristiche delle suddette licenze alle normative nazionali dei Paesi che hanno accolto l’iniziativa. Per approfondimenti si vedano gli appunti di lavoro sul progetto i-commons sul sito http://creativecommons.ieiit.cnr.it/Clausole_icommons.pdf;
4 Vi è poi un’ulteriore licenza, chiamata Commercial, che rende possibile sia commercializzare l’opera sia modificarla. Per avere un quadro delle diverse tipologie di licenze si veda sul sito ufficiale delle Creative Commons: www. creativecommons.org; nonché l’articolo “Arrivano in Italia le licenze libere Creative Commons” sul sito www. ilsole24ore.it, che riporta l’intervista a Juan Carlos De Martin dell’Ieiit del Cnr;
5 Articolo scritto da A. Fantini “Creative Commons some right reserved”, pubblicato in Javaopenbusiness.com e su Pivari.com.