Come può il datore di lavoro accertare che il dipendente utilizzi correttamente gli strumenti di lavoro assegnati, al fine di impedirne un uso distorto ovvero diverso da quello propriamente lavorativo?
Il tema, sebbene di stretta attualità, non è ancora stato oggetto di una regolamentazione che lo disciplini compiutamente, ed in maniera organica.
In attesa, dunque, che si disegnino i confini normativi per un corretto rapporto tra tecnologia, impresa e lavoro, al momento tocca all’interprete individuare il punto di equilibrio tra il diritto del lavoratore al rispetto della propria sfera privata e quello, opposto, del datore di monitorare l’attività del dipendente, per evitare la commissione di illeciti. E lo sforzo interpretativo non è di poco conto.
Ne abbiamo parlato con l’avv. Giacopuzzi, legale che fornisce da anni consulenza in diritto dell’information technology ad importanti realtà d’impresa.
1. Nuove tecnologie e controlli in azienda: qual è l’attuale “stato dell’arte”?
E’ di comune esperienza che le imprese non possono prescindere dall’utilizzo della tecnologia, ponendosi la stessa come un mezzo necessario per raggiungere una piena ottimizzazione delle risorse aziendali. Va da sé che, in queste condizioni, i metodi tradizionali di controllo del lavoro perdono importanza, e cedono il passo ad una nuova forma di sorveglianza, ben più radicale e invasiva della precedente. Eppure – ed è questo il punto - non tutto ciò che è tecnicamente possibile è anche giuridicamente legittimo.
2. E’consentito al datore di lavoro controllare il proprio dipendente?
Sì, ma entro precisi limiti. Tra i poteri che il nostro ordinamento riconosce al datore di lavoro, nella sua qualità di creditore della prestazione lavorativa, rientra anche quello di controllare l’esatta esecuzione della prestazione dovuta, verificando se il dipendente usa la prescritta diligenza e osserva le disposizioni impartitegli. Ciò è indubbio, ed innegabile.
Il controllo non può essere però condotto acriticamente: nell’esercizio di tale prerogativa, infatti, il datore di lavoro deve rispettare la libertà e la dignità del lavoratore, salvaguardando scrupolosamente i diritti di quest’ultimo.
3. Quali sono le norme di legge che vengono in rilievo?
Le principali disposizioni limitative del potere di controllo del datore di lavoro sono contenute nella L. 300/70, legge più conosciuta come “Statuto dei Lavoratori”. Meritano, in particolare, di essere ricordati l’art. 4, che pone un tendenziale divieto di controllare a distanza il lavoratore e l’art. 8, che non consente indagini sulle opinioni e sui fatti privati del dipendente. Oltre a questi precetti, il datore di lavoro dovrà rispettare la normativa in tema di protezione di dati personali (D.Lgs. 196/03), avendo cura di non ledere la privacy del lavoratore. Di indubbia utilità sono pure le indicazioni che il Garante per la protezione dei dati personali ha fornito in vari provvedimenti: è dunque opportuno che il datore sia a conoscenza di dette “linee-guida”, a prescindere dalla portata precettiva delle stesse.
4. Come può essere effettuato un controllo a distanza nel rispetto della legge?
In questa prospettiva assume particolare rilievo l’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, che stabilisce, in via di principio, il divieto del controllo a distanza. La norma poc’anzi citata, al primo comma, così dispone: “E’vietato l’uso di apparecchi audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori”.
La durezza del divieto è però mitigata al comma successivo, che – contemperando l’interesse del datore di lavoro alla produzione con quello del dipendente alla propria riservatezza – ammette la presenza in azienda di impianti e apparecchiature di controllo (ove – beninteso – l’installazione avvenga per esigenze produttive o di sicurezza del lavoro), dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dei lavoratori. In tal caso, comunque, l’installazione di detti impianti è il momento conclusivo di un iter obbligato, che prevede l’accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o, in mancanza, con la commissione interna. In difetto di accordo – prosegue la norma – provvede l’ispettorato del lavoro, dettando, ove necessario, le modalità per l’utilizzo di tali impianti.
5. Qual è l’orientamento della giurisprudenza sul punto?
Leggendo le varie sentenze che hanno affrontato il tema dei controlli a distanza si percepisce come i giudici non abbiano ancora trovato risposte condivise: in sé considerata, ciascuna decisione appare corretta e coerente con le premesse da cui muove, ma – applicando i principi dell’una alle soluzioni dell’altra – si ottengono in molti casi giudizi discordanti.
6. E’ dunque d’obbligo, per il datore di lavoro, procedere con cautela?
Certamente. La disamina deve essere condotta con attenzione, poiché, ove il controllo potesse aver ad oggetto la prestazione lavorativa, il datore di lavoro dovrebbe necessariamente percorrere la strada indicata dal 2 comma dell’art.4 St.Lav. E non sono ammessi margini d’errore: la violazione di quanto disposto dall’art.4, infatti, è fonte di responsabilità penale, e può anche tradursi in un comportamento antisindacale. Va inoltre ricordato, per completezza, che, sul piano processuale, non può attribuirsi alcun valore probatorio ai risultati dei controlli illegittimamente eseguiti, né a fini disciplinari né risarcitori.
7. Per quella che è la sua esperienza, sono molto diffusi in azienda strumenti che controllano illecitamente i dipendenti?
Credo che la maggior parte delle aziende operi nel rispetto della legge. E’innegabile, tuttavia, che vi siano realtà in cui è dato riscontrare elementi di segno contrario: questa materia, d’altro canto, è molto complicata.
8. La disamina di ciò che lecito è dunque operazione difficile?
Senza dubbio. Ed essa, perciò, va condotta con rigore e professionalità. Professionalità che impone di non indulgere a un acritico impiego nei processi aziendali di ogni ritrovato tecnologico, ma altresì di non arrestarsi di fronte alle novità, temendo che esse preludano a scenari di orwelliana memoria: ciò altro non sarebbe che esercizio di misoneismo.