Destinataria del divieto enunciato dall’art. 85.1 Trattato CE - come pure di quello di cui all’art. 86 - è l’impresa. La nozione di impresa, per il diritto antitrust, è estremamente ampia e volutamente elastica: costituisce impresa ogni organizzazione unitaria di elementi personali, materiali e immateriali, facente capo ad un soggetto giuridico autonomo e diretta in modo durevole e continuato a partecipare attivamente alla vita economica perseguendo uno scopo determinato, indipendentemente dalle modalità di suo finanziamento, dalle componenti organizzative e dagli elementi aziendali.
“L'attività di spedizioniere doganale rientra nella nozione d'impresa ai fini dell'applicazione delle regole comunitarie di concorrenza, poiché, nell'ambito del diritto della concorrenza, tale nozione comprende, a prescindere dal suo status giuridico e dalle sue modalità di finanziamento, qualsiasi entità che eserciti un'attività economica, in particolare quella consistente nell'offrire beni o servizi su un determinato mercato. Il fatto che l'attività di spedizioniere doganale sia intellettuale, richieda un'autorizzazione e possa essere svolta senza la combinazione di elementi materiali, immateriali e umani non è tale da escluderla dalla sfera di applicazione degli artt. 85 e 86 del Trattato, in quanto tale attività presenta natura economica.
Infatti lo spedizioniere doganale offre, contro retribuzione, servizi che consistono nell'espletare formalità doganali, concernenti soprattutto l'importazione, l'esportazione e il transito di merci, nonché altri servizi complementari, quali i servizi appartenenti ai settori monetario, commerciale e tributario, assume a proprio carico i rischi finanziari connessi all'esercizio di tale attività e, in caso di squilibrio fra uscite ed entrate, deve sopportare direttamente i disavanzi”[1].
La dimensione dell’impresa è assolutamente irrilevante, così come la sua forma giuridica o il fatto che le sia o meno riconosciuta personalità giuridica o che sia di proprietà privata, pubblica o mista. In questa prospettiva, sono imprese per il diritto della concorrenza anche istituzioni pubbliche, quali gli uffici di collocamento o i monopoli di Stato, anche se incorporati nell’amministrazione centrale.
Rientrano in questa nozione le aziende pubbliche, anche incaricate di un servizio pubblico, come le poste e gli enti territoriali, nella misura in cui essi svolgano un’attività economica a scopo di lucro. “Si deve precisare, nel contesto del diritto della concorrenza, che la nozione di impresa abbraccia qualsiasi entità che esercita un’attività economica, a prescindere dallo status giuridico di detta entità e delle sue modalità di finanziamento, e che l’attività di collocamento è un’attività economica”[2].
E’ quindi possibile che sia considerata impresa una persona fisica, sempre che assuma in proprio il rischio d’impresa e che partecipi con la sua attività economica ad almeno una delle fasi di produzione e distribuzione di beni e servizi offerti. La Corte di giustizia ha considerato che la nozione di“attività economica” si applica a qualsiasi attività che consista nell’offrire beni o servizi su un determinato mercato[3].
Si perviene così ad una nozione funzionale di impresa, applicabile sia alle persone fisiche che giuridiche, per il solo fatto che svolgano una attività economica consistente nell’offerta di beni o di servizi in un determinato mercato. In linea generale, un’attività presenta carattere economico quando può essere esercitata, almeno in via di principio, da un operatore privato a fini di lucro.
Nella sentenza Poucet e Pistre del 17 febbraio1993 e in quella SAT Fluggesellschaft del 19 gennaio 1994, la Corte, pronunciandosi sulla questione ha, sì, in una prima parte richiamato il punto 21 della sentenza Hoefner ed Elser, però ha poi precisato che l’attività di tali enti non poteva considerarsi di natura economica e che pertanto essi non potevano considerarsi imprese ai sensi delle norme sulla concorrenza in quanto “esplicavano una funzione di carattere sociale e la loro attività” era “fondata sul principio della solidarietà nazionale e sprovvista di ogni scopo lucrativo”. La Corte ha ancora una volta qualificato l’affermazione contenuta nel punto 21 della sentenza Hoefner ed Elser, mostrando ulteriormente di ritenere tale affermazione generica e bisognosa di essere precisata in relazione alle diverse fattispecie di volta in volta sottoposte alla sua considerazione.
Il ridimensionamento dell’affermazione secondo cui è impresa qualsiasi ente che esercita un’attività economica che risulta dalle precisazioni compiute sia dalla sentenza Hoefner ed Elser sia dalla sentenza Poucet e Pistre, ha trovato un ulteriore svolgimento nella pronuncia che la Corte di giustizia ha reso nel caso Eurocontrol, ente costituito mediante convenzione internazionale, che svolge “compiti di interesse generale il cui scopo è quello di contribuire alla conservazione e al miglioramento della sicurezza della navigazione aerea”.
Nel caso sottoposto al giudizio della Corte di giustizia, si giunge alla seguente conclusione: “considerate nel loro complesso, le attività di Eurocontrol, per la loro natura, per il loro oggetto e per le norme alle quali sono soggette, si ricollegano all’esercizio di prerogativa, relative al controllo e alla polizia dello spazio aereo, che sono tipiche prerogative dei pubblici poteri. Esse non presentano carattere economico che giustifichi l’applicazione delle norme di concorrenza previste dal Trattato”.
Dunque, non sono imprese invece i soggetti che erogano servizi di sicurezza sociale previsti dalla legge, gli organismi che offrono servizi funzionali alla sicurezza aerea, ovvero alla tutela dell’ambiente. Con la conseguenza che viene ancora una volta superata l’idea che lo svolgimento di attività economica sia condizione, oltre che necessaria, anche sufficiente per dare luogo all’applicazione del diritto comunitario della concorrenza. Il fatto che un regime giuridico sia istituito per la tutela di un interesse generale di sicurezza può essere considerato elemento idoneo a conferire a tale regime un carattere di specialità atto ad escludere l’applicazione delle disposizioni legislative inerenti al regime del diritto comunitario della concorrenza.
Nel celebre caso Coreva la Corte ha esplicitato in maniera più chiara il proprio pensiero pronunciandosi in relazione ad una richiesta di interpretazione pregiudiziale relativa all’applicabilità dell’art. 85 ad una cassa mutua gerente un regime di assicurazione per la vecchiaia istituita a titolo facoltativo ed integrativa di un regime di base obbligatorio.
Essa, facendo espressamente perno sul principio della “sostituibilità”, evincibile sin dalla pronuncia Hoefner ed Elser, ha ritenuto qualificabile detta cassa mutua come impresa ai sensi dell’art.85 in quanto esercitante “un’attività economica in concorrenza con le società di assicurazione sulla vita”[4]. Da notare che, secondo questa ottica, non costituiscono impresa né i sindacati dei lavoratori, né le associazioni di consumatori.
Sono considerate imprese, invece, i professionisti intellettuali, gli artisti, gli sportivi, purché professionisti e le loro associazioni. Secondo la Corte di giustizia "la nozione di impresa abbraccia qualsiasi entità che esercita un'attività economica, a prescindere dallo status giuridico di detta entità e dalle sue modalità di finanziamento", e precisa ulteriormente che "la circostanza che le attività siano affidate a pubblici uffici non incide sulla natura economica" delle stesse.
Il citato insegnamento ha ispirato anche la giurisprudenza nazionale che, ad esempio, non ha esitato a qualificare, sulla scorta della normativa comunitaria, l’attività dell’avvocato come un’attività economica svolta da un’impresa e soggetta all’applicazione dell’art. 85.
Da quanto sopra evidenziato scaturisce la qualificazione dei Consigli Nazionali come associazioni di imprese sotto il profilo della rappresentanza degli interessi delle rispettive categorie professionali, a ciò non ostando la circostanza che nel diritto interno gli Ordini professionali possano essere qualificati come enti pubblici non economici. Gli avvocati che svolgono la loro attività in Italia offrono, in qualità di operatori indipendenti, servizi di consulenza giuridica nonché di rappresentanza dei loro clienti dinanzi alle autorità giudiziarie: pertanto gli avvocati italiani offrono servizi su un determinato mercato, cioè quello dei servizi giuridici. Gli avvocati italiani svolgono la loro attività a fini di lucro: ciò considerato, la fornitura di servizi giuridici va considerata attività economica ai sensi della giurisprudenza.
Contrariamente a quanto sostenuto dal Governo italiano, questa conclusione non è inficiata dal fatto che l’avvocato sia tenuto al rispetto di regole deontologiche, né dal fatto che svolga attività connesse con l’amministrazione della giustizia. Infatti nella sentenza del 10 luglio 2001 CNF Italia/Commissione, la Corte ha qualificato l’attività degli avvocati, al pari di quella degli spedizionieri doganali, quantunque siano soggetti al rispetto di norme disciplinari disposte da un ordine professionale. Di conseguenza, l’avvocato che esercita la sua attività in Italia va considerata impresa ai sensi del diritto comunitario della concorrenza.
A questo punto si pone il problema di valutare l’applicabilità delle norme antitrust ai gruppi di imprese. A tale scopo è stata elaborata la “teoria dell’unità del gruppo”, secondo la quale il gruppo formato da impresa madre e imprese satelliti va considerato come unica impresa. Questo porta a negare l’applicabilità dell’art. 85 ad accordi intragruppo, quando le società del gruppo costituiscono un’unica entità economica; in tal caso infatti si deve ritenere di essere in presenza, non di intese intercorrenti tra soggetti distinti, ma di decisioni adottate nell’ambito di un’unica impresa.
Ulteriore conseguenza di questa teoria è la possibilità di imputare a ciascuna impresa facente parte del gruppo la responsabilità per comportamenti anticoncorrenziali tenuti da altre imprese del gruppo medesimo. Tale tesi è stata confermata, con riferimento ad una concessione esclusiva di vendita conclusa fra una società madre e una sua affiliata: il presupposto della restrizione della concorrenza, ha ritenuto la Corte, manca “qualora la concessione sia parzialmente trasferita da un’impresa madre ad un’affiliata la quale, pur avendo personalità giuridica distinta, non ha alcuna autonomia economica”.[5]
Nella causa de quo, la Corte ha respinto l’argomentazione delle ricorrenti secondo cui “la personalità giuridica distinta dell’affiliata deve essere rispettata in quanto la legge non può non tener conto di quanto essa stessa ha creato”. La Corte di giustizia ha opposto che “la formale separazione delle società conseguente alla loro personalità giuridica distinta non esclude l’unità del loro comportamento sul mercato, per quanto riguarda l’applicazione delle norme sulla concorrenza”.
In questa causa la Corte doveva decidere se imputare ad una società controllante avente sede fuori dalla CEE pratiche concordate che violavano l’art. 85 materialmente compiute da una società controllata comunitaria; la Corte affermò, in un obiter dictum, che “qualora l’affiliata non goda di reale autonomia nella determinazione della propria linea di condotta, va ritenuto che i divieti sanciti dall’art. 81 par. 1 non si applicano ai rapporti tra la stessa affiliata e la società madre, che insieme formano un’unità economica”. La Corte fa riferimento esclusivo alla “unità economica” e non nomina il mero scopo di ripartizione interna di compiti; in secondo luogo si adotta la medesima nozione per risolvere il problema diverso dell’imputazione del comportamento alla controllante.
In un altro caso[6] la Corte di giustizia, approfondendo un concetto che già aveva sfiorato incidentalmente nel caso che ha fatto scuola Materie coloranti, afferma che: “l’art. 85 non colpisce tuttavia accordi o pratiche concordate fra imprese appartenenti allo stesso gruppo come società madre ed affiliata, qualora esse costituiscono un’unità economica nell’ambito della quale l’affiliata non dispone di effettiva autonomia nella determinazione del proprio comportamento sul mercato, e gli accordi o pratiche di cui trattasi abbiano semplicemente lo scopo di una ripartizione di compiti all’interno del gruppo”.
La sentenza Centrafarm è alla base della dottrina dell’unità economica, secondo la quale ogni qualvolta un gruppo di imprese forma un’unità economica, tale gruppo va considerato, ai fini dell’applicazione delle norme comunitarie sulla concorrenza, come un’unica impresa. Il requisito dell’unità economica deve ritenersi soddisfatto quando ci si trova in presenza di un unico centro di imputazione effettivo dell’attività del gruppo[7].
Analogamente nel caso Hydrotherm, relativo ad un accordo di distribuzione concluso tra Hydrotherm da una parte, e, dall’altra, tre soggetti distinti, vale a dire l’ing. Andreoli, persona fisica, la società Compact e la società Officine Sant’Andrea, la Corte ha affermato che entità giuridicamente indipendenti che entrano in un contratto come una parte unica possono essere considerate un’impresa unitaria qualora formino un’unità economica dal punto di vista del contratto.
Nella sentenza[8] si legge che: “La nozione di impresa, collocata nel contesto del diritto della concorrenza, deve essere intesa come designante una unità economica dal punto di vista dell’oggetto dell’accordo in considerazione anche se, dal punto di vista giuridico, questa unità economica è costituita da delle società che hanno un interesse identico e che sono controllate dalla medesima persona fisica, essa pure parte dell’accordo. In queste condizioni, in effetti, non esiste alcuna possibilità di concorrenza tra i soggetti che partecipano, come una sola parte, all’accordo in questione”.[9] Così, la giurisprudenza successiva, ha confermato la ratio decidendi delle sentenze Centrafarm e Hydrotherm[10].
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[1] Sentenza della Corte di giustizia Repubblica italiana/Commissione del 18 giugno 1998
[2] Sentenze della Corte di giustizia Kleochner-Werke AG Hoesch AG del 13 luglio 1962 e Hoefner ed Elser del 23 aprile 1991
[3] Sentenza Commissione/Italia del 16 giugno 1987
[4] Sentenza SAT Fluggesellschaft del 19 gennaio 1994
[5] Sentenza ICI Ltd/Commissione (Materie coloranti) del 14 luglio 1972
[6] Sentenza Centrafarm del 31 ottobre 1974
[7] Sentenza Centrafarm B.V. e Adriaan De Peijper/Sterling Drug Inc.
[8] Sentenza Hydrotherm del 12 luglio 1984
[9] Cfr. sentenza Beguélin Import del 25 novembre 1971
[10] Cfr. Sentenze Corinne Bodson/SA Pompes funèbres des régions libérés del 4 maggio 1988; Ahmed Saeed Flugreisen e Silver Line Reiseburo GmbH/Zentrale zur Bekampfung unlauteren Wettbewerbs e. v., dell’11 aprile 1989