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L'esercizio abituale di un'attività autonomamente organizzata. Criteri normativi e prime note sulla decisione C. Cost. n.156/2001.
Approfondendo l'esame della normativa tributaria in materia di Imposta sulle Attività Produttive in relazione alla recente sentenza della Corte cost. n.156/2001, occorre precisare alcuni dati terminologici e sostanziali per poter ribadire, come anticipato "a caldo" da studiumfori lo scorso 22.5.01 (lhttp://www.studiumfori.it/visallex.php?id=166), che la citata sentenza non ha fornito della normativa in questione nessuna nuova interpretazione tale da stravolgerne la sostanziale applicazione pratica.
Riteniamo infatti che, a seguito di una migliore lettura della decisione, non si avrà luogo "alla valanga di ricorsi" annunciati in un primo tempo dalla stampa.
Non rimarrà invece, ahimè, che attendere il provvidenziale intervento del legislatore.
Andiamo per definizioni normative.
L'articolo 2 comma 1 del decreto Irap (modificato dal decreto legislativo 137/98), stabilisce che "presupposto dell'imposta è l'esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi".
In questa definizione trovano spazio, con tutt'evidenza sia le attività imprenditoriali che quelle libero professionali.
Ricordiamo che secondo la definizione codicistica è imprenditore chi esercita professionalmente un'attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi (art.2083).
Il concetto della "organizzazione" invece non è contemplato dal legislatore nella regolamentazione civilistica delle professioni intellettuali (artt.2229/2238 c.c.) laddove il criterio della "organizzazione in forma di impresa" è utilizzato proprio come criterio discretivo di rinvio alla disciplina dell'impresa (art.2238).
La prevalenza dell'organizzazione sulla prestazione è criterio giuridico differenziale fra impresa e professione. Per tutte trovo chiara e significativa sul punto una decisione della Comm. Trib. di Reggio Emilia: "Quando non è la struttura di uno studio professionale ad essere funzionale all'opera personale del professionista, ma sono le prestazioni di quest'ultimo ad essere virtualmente asservite all'organizzazione, il reddito derivante dall'attività svolta è da considerarsi reddito di impresa e non già di lavoro autonomo."
Commiss. Trib. Reg. Reggio Emilia, 5 dicembre 1996, n. 134
Tornando alle definizioni normative-tributarie, ricordiamo che l'art.49 comma 1 del TUIR definisce così le attività libero professionali: "Per esercizio di arti e professioni si intende l'esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di attività di lavoro autonomo diverse da quelle considerate nel capo VI, compreso l'esercizio in forma associata di cui alla lettera c) del comma 3 dell'articolo 5".
E' sufficientemente chiaro a questo punto che il criterio della "organizzazione" di per se non può essere utilizzato come parametro di definizione esclusivo al fine dell'assogettabilità a IRAP, trattandosi di criterio che, dal punto di vista strettamente normativo è usato tipicamente con riferimento alla sola attività di impresa (senza limitazioni di dimensione) proprio in contrapposto ad altre forme di lavoro autonomo ed in particolare all'attività professionale.
Cosa rimane dunque di comune a tutte le definizioni normative, civilistiche e fiscali, del lavoro autonomo? L'esercizio in forma "autonoma e abituale".
Questo elemento è proprio infatti di tutte le definizioni sopra riportate: impresa, libera professione, attività produttiva ed è tenuto in considerazione dal decreto IRAP, dalle previgenti normative fiscali (art.49 TUIR sopracitato) nonchè dalla recente decisione della C. Cost..
Non a caso una norma che ben conosciamo, l'art.81 lett.l) TUIR espressamente qualifica redditi diversi da quelli realizzati in forma imprenditoriale e libero professionale, fra gli altri, anche: "i redditi derivanti da attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente o dalla assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere".
Orbene questi redditi, e le corrispondenti attività produttive, sono egualmente e pacificamente escluse anche dalla base imponibile IRAP. Ciò sia prima che dopo la recente sentenza di rigetto.
Tornando quindi al concetto iniziale di "attività organizzata" dobbiamo concludere che lo stesso è ed era insufficiente di per sé a creare una valida categoria costitutiva di base imponibile. Diversamente occorrerebbe, come già detto escludere a priori l'assoggettabilità a IRAP, nonchè probabilmente anche alle imposte sui redditi, di tutte le attività professionali.
E' chiaro che, anche linguisticamente, l'organizzazione è elemento indispensabile del lavoro autonomo. Ma non occorre contare il numero di dipendenti ed i capitali impegnati per valutare l'organizzazione di un lavoratore autonomo!
Organizzato, a nostro avviso, è certamente anche il giovane professionista ed il piccolo imprenditore che, adempiendo tutti gli obblighi contabili, amministrativi, fiscali e previdenziali che gli competono (che già basterebbero per mettere alla prova l'esistenza, ancorchè l'efficienza di tale attività!) effettua alcune prestazioni di lavoro autonomo. Qualora tali prestazioni vengano effettuate con criterio di abitualità (ancorchè non di esclusività) conferendo all'attività un minimo di stabilità e di funzionalità alla produzione di beni o alla prestazione di servizi, è evidente che ricorrano i requisiiti di cui al soprariportato decreto IRAP. In mancanza di detto "esercizio abituale in forma organizzata" come nel caso non infrequente del lavoratore dipendente o della casalinga che occasionalmente vendono un quadro o effettuano una prestazione professionale, è evidente che, pur essendo da qualificarsi di lavoro autonomo, la prestazione, se pur di ingente valore economico, non sarà assoggettabile ad IRAP.
Non riteniamo che la motivazione della Corte Costituzionale possa porsi in alcun modo in antitesi con quanto precede, e la riportiamo quindi per estratto, per completezza espositiva, per concludere quindi che l'IRAP allo stato attuale è legittima e che non si vede alcuno spunto per sottrarre alcuna nuova categoria di lavoratori autonomi dalla sua applicazione.
C. Cost. n.156/2001:
"(…) l'assoggettamento ad IRAP dei soli soggetti che svolgono un'attività di lavoro autonomo per professione abituale, ancorché non esclusiva, trova fondamento in una non irragionevole presunzione circa la mancanza del requisito dell'autonoma organizzazione nelle diverse ipotesi, previste dai commi 2 e 3 del menzionato art. 49, di lavoro autonomo occasionale o comunque non abituale. (...)
"E' tuttavia vero - come taluni rimettenti rilevano - che mentre l'elemento organizzativo è connaturato alla nozione stessa di impresa, altrettanto non può dirsi per quanto riguarda l'attività di lavoro autonomo, ancorché svolta con carattere di abitualità, nel senso che è possibile ipotizzare un'attività professionale svolta in assenza di organizzazione di capitali o lavoro altrui.
Ma è evidente che nel caso di una attività professionale che fosse svolta in assenza di elementi di organizzazione - il cui accertamento, in mancanza di specifiche disposizioni normative, costituisce questione di mero fatto - risulterà mancante il presupposto stesso dell'imposta sulle attività produttive, per l'appunto rappresentato, secondo l'art. 2, dall'"esercizio abituale di un'attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi", con la conseguente inapplicabilità dell'imposta stessa."
In realtà ciò di cui la Consulta si è fatta interprete non è certo il concetto di autonoma organizzazione di cui sopra.
Ciò che ci costerna ed avvilisce, quali interpreti ma soprattutto operatori del diritto tributario, è la conferma della assoluta legittimità del tributo, come istituito nell'anno 1997.
Bisogna infatti evidenziare e ribadire, anziché perdersi in farraginose interpretazioni degli incisi letterali della motivazione in discorso, che la Corte Costituzionale ha decisamente rigettato ogni censura di illegittimità costituzionale del decreto istitutivo dell'IRAP, così motivando:
"Nel caso dell'IRAP il legislatore, nell'esercizio di tale discrezionalità, ha individuato quale nuovo indice di capacità contributiva, diverso da quelli utilizzati ai fini di ogni altra imposta, il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate.
La scelta di siffatto indice - diversamente da quanto i rimettenti assumono - non può dirsi irragionevole, né comunque lesiva del principio di capacità contributiva, atteso che il valore aggiunto prodotto altro non è che la nuova ricchezza creata dalla singola unità produttiva, che viene, mediante l'IRAP, assoggettata ad imposizione ancor prima che sia distribuita al fine di remunerare i diversi fattori della produzione, trasformandosi in reddito per l'organizzatore dell'attività, i suoi finanziatori, i suoi dipendenti e collaboratori.
L'imposta colpisce perciò, con carattere di realità, un fatto economico, diverso dal reddito, comunque espressivo di capacità di contribuzione in capo a chi, in quanto organizzatore dell'attività, è autore delle scelte dalle quali deriva la ripartizione della ricchezza prodotta tra i diversi soggetti che, in varia misura, concorrono alla sua creazione."
Queste affermazioni sono quelle che più ci lasciano perplessi: non ci riesce infatti di capire come si possa giustificare la tassazione non già di una produttività diversa dal reddito (che potrebbe anche passare), ma di un qualunque quid nel momento in cui ancora non esiste.
Mi spiego: anche l'IVA colpisce un valore aggiunto, ma nel momento in cui questo si è già concretizzato, ha cioè effettivamente prodotto ricchezza.
Un'imposta come l'IRAP che invece colpisce la "capacità di produrre reddito" prendendo come base impositiva i ricavi quasi lordi dell'attività, senza alcun riguardo per la spesa sostenuta, non può a parer mio non violare il principio della capacità contributiva espresso dall'art.53 Cost..
Perchè si possa parlare di capacità contributiva ci deve essere, con tutta evidenza, una produzione. Ora, insegnano i manuali, che i fattori produttivi sono: terra, capitale, lavoro e impresa.
Nessuna precedente legislazione fiscale ha mai pensato di colpire il fattore produttivo "organizzazione", stante la assoluta aleatorietà terminologica e concettuale!
Con queste poche e volutamente paradossali osservazioni vogliamo concludere ribadendo la nostra delusione ed auspicando ancora una volta un congruo e tempestivo intervento legislativo.

Visita il sito dell'autore: Studium Fori

Autore: Marisa Bonanno


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