L’infortunio “in itinere”, vale a dire quello che si verifichi quando il lavoratore si trovi sui percorsi che compie nell’andare al lavoro o per tornare da esso, ha trovato risvolto normativo nel nostro ordinamento giuridico con il Decreto legislativo 38/2000 che, integrando il D.P.R. n. 1124 del 30 giugno 1965 “Testo Unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali”, ha introdotto questo importante istituto a tutela dei lavoratori.
L’art. 12 del suddetto D.lgs, integrando gli articoli 2 e 210 del Testo Unico, dispone che:
"Salvo il caso di interruzione o deviazione del tutto indipendenti dal lavoro o, comunque, non necessitate, l'assicurazione comprende gli infortuni occorsi alle persone assicurate durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro, durante il normale percorso che collega due luoghi di lavoro se il lavoratore ha piu' rapporti di lavoro e, qualora non sia presente un servizio di mensa aziendale, durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro a quello di consumazione abituale dei pasti. L'interruzione e la deviazione si intendono necessitate quando sono dovute a cause di forza maggiore, ad esigenze essenziali ed improrogabili o all'adempimento di obblighi penalmente rilevanti. L'assicurazione opera anche nel caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato, purché necessitato. Restano, in questo caso, esclusi gli infortuni direttamente cagionati dall'abuso di alcolici e di psicofarmaci o dall'uso non terapeutico di stupefacenti ed allucinogeni; l'assicurazione, inoltre, non opera nei confronti del conducente sprovvisto della prescritta abilitazione di guida.".
La ragione di un così lento inserimento di tale tipologia di infortunio nel nostro ordinamento giuridico, a fronte dei casi di infortunio sul lavoro già da lungo tempo previsti dal Testo Unico, è da ricercare nel fatto che l’infortunio in itinere implica che si debba tener conto della circostanza che tali infortuni avvengono normalmente fuori della sfera d’influenza e di controllo del datore di lavoro.
Dal 2000 si è assistito ad un processo storico di espansione dell’assicurazione obbligatoria, che ha portato il nostro legislatore a introdurre nuovi casi di infortunio sul lavoro.
La suprema Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la recente sentenza n. 3776 del 14 febbraio 2008, ha riconosciuto quale infortunio sul lavoro in itinere quello occorso a un dipendente che, mentre rientrava a casa dallo stabilimento tipografico con la propria motocicletta, a causa di uno sciopero dei mezzi pubblici, è stato affrontato da due individui che lo hanno rapinato della moto ferendolo con colpi di arma da fuoco.
Secondo la Consulta l’inserimento di terzi, come nel caso della rapina, non fa venir meno il nesso di causalità tra l’infortunio subito e il lavoro.
La Corte di Cassazione, nella motivazione, percorre l’excursus storico che ha visto, dapprima la dichiarazione, da parte della Corte Costituzionale con sentenza n. 55 del 7/4/1981, dell’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma terzo, T.U. 1124/1965, per violazione degli articoli 3 e 38 della Costituzione, nella parte in cui non prevedeva, tra le attività coperte da assicurazione obbligatoria, anche quella del maneggio del denaro.
Dal 1981, pertanto, l’attività di cassa e, in generale, il maneggio del denaro costituisce un’attività protetta che necessita di assicurazione obbligatoria.
Il passaggio interpretativo successivo della nostra giurisprudenza (e della Corte di Cassazione nella sentenza in commento) è stato quello di assimilare al maneggio del denaro i casi di possesso dello stesso, anche al di fuori del luogo di lavoro, nonché le ipotesi di “di aggressione per motivi comunque di lucro, anche se non immediatamente e direttamente monetari”.
Pertanto, secondo l’interpretazione giurisprudenziale della Corte di Cassazione, l’aggressione subita sul luogo di lavoro dall’addetto all’attività di cassa e la rapina occorsa al lavoratore in itinere, sono del tutto assimilabili e tutelati da assicurazione obbligatoria INAIL, qualora sussistano tutti gli altri elementi richiesti dalla legge per il riconoscimento e l’indennizzabilità dell’infortunio in itinere.
A detta della Consulta, nella fattispecie oggetto della sentenza n. 3776/2008, tali elementi sussistono e sono riconducibili nell’ordinaria percorrenza del tragitto dal luogo di lavoro a quello di residenza del lavoratore, nell’utilizzo del mezzo proprio (una motocicletta) giustificato dallo sciopero dei mezzi pubblici, nell’assenza di alcuna negligenza da parte del lavoratore e nel nesso di causalità.
Se con riferimento a quest’ultimo punto vi erano in passato divergenze dottrinali e giurisprudenziali, in quanto si riteneva che l’intervento di terzi interrompesse il nesso casuale tra l’evento e il lavoro, l’interpretazione, come si è visto, è radicalmente mutata.
Ritiene la Cassazione che soltanto un accadimento volontario da parte del lavoratore (ad es. la sosta lungo il tragitto o il cambio di percorso ordinario ecc.) determini l’interruzione del nesso di causalità; ciò non accade qualora vi sia un intervento di terzi, come nel caso della rapina.
La sentenza della Corte si inserisce perfettamente in un periodo storico lavorativo in cui il nostro Parlamento, alla luce dei sempre crescenti incidenti sul lavoro, sta rivedendo il nuovo testo unico sulla sicurezza, nell’ottica di rendere il luogo di lavoro sempre più sicuro.