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Anatocismo e usura. Compendio delle disposizioni relative all’anatocismo e all’usura

1. Introduzione[1].

Nel corso degli anni novanta il mercato finanziario è stato interessato da radicali mutamenti evolutivi che si sono succeduti rapidamente nel tempo. La normativa di legge ha accompagnato, sospingendo e realizzando un assetto finanziario più consono ed adeguato all’apertura internazionale. Ad un’impostazione dirigistica dell’Autorità Monetaria si è sostituita un’impostazione nella quale regole di mercato, standardizzazioni e trasparenza delle condizioni contrattuali, in linea con i migliori standard internazionali, vengono a costituire presidi e tutele più funzionali all’evoluzione ed emancipazione di operatori economici e risparmiatori.

L’attività bancaria e, più specificatamente i servizi prestati alla clientela, hanno subito frequenti implementazioni normative volte a rendere più trasparenti i rapporti, dettando – nel sovraordinato rispetto delle regole di mercato – principi di comportamento e livelli informativi tanto più estesi e penetranti quanto più debole è la forza contrattuale e labile l’expertice finanziario del cliente.

In questa fase di transizione del mercato emergono con maggiore evidenza talune contraddizioni. La coazione a ripetere schemi culturali ormai superati può facilmente condurre ad interpretazioni ed applicazioni che non colgono o non valutano nel giusto peso i nuovi presidi posti a tutela del risparmiatore.

Le disposizioni introdotte nell’ordinamento italiano, prima con il T.U. bancario d. lgs. 385/93, poi con le leggi n. 52/96, n. 108/96 e da ultimo con le recenti disposizioni a tutela del risparmio (legge n. 262/05), sono state accompagnate da un’evoluzione interpretativa della Cassazione e della Corte Costituzionale in materia di anatocismo e tassi usurai i cui riflessi non hanno tardato a manifestarsi nel contenzioso sottoposto alla gestione dei Tribunali.

Non si può per altro disconoscere il sostanziale deterioramento dell’immagine del sistema bancario. E’ questo un problema presente anche in altri paesi della Comunità, ma in Italia risulta particolarmente avvertito. Da un recente rapporto (gennaio ’04), curato in ambito CEE, emerge una  situazione poco soddisfacente per l’insieme della Comunità, ma assai insoddisfacente per il nostro paese che spesso si viene a trovare nella parte bassa della graduazione di soddisfazione[2].

Si vogliono qui illustrare le principali problematiche finanziarie sulle quali la Suprema Magistratura frequentemente è stata chiamata ad esprimere un giudizio. Per tali problematiche si richiamano succintamente le variegate argomentazioni che la giurisprudenza ha articolato negli ultimi anni, accompagnando la graduale evoluzione dei servizi bancari, verso assetti più equilibrati e trasparenti.

2. Fonti normative.

Generali:

▪  Artt. 1283 – 1284 – 1831 – 1832 – 1815 – 1852/1857 c.c.

▪  Legge n. 287/90 “Norme per la tutela della concorrenza e del mercato”;

▪  Legge n. 154/92 “Trasparenza in materia bancaria”;

▪  T.U. delle leggi in materia bancaria e creditizia D. Lgs. n. 385/93;

▪  Legge n. 108/96 “Disposizioni in materia di usura”;

▪  Direttiva 93/13/CEE del 5/4/93 e legge n. 52/96 “Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori”;

▪  Corte Costituzionale sentenza n. 425/00 “Illegittimità dell’art. 25 comma 3° D. Lgs 342/99;

▪  Delibera CICR 9/2/00 “Modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi”.

▪  D.L. n. 394/00 conv. Legge n. 24/01.

Specifiche.

▪ Anatocismo: Corte Cass. Sez. I n. 2374 del 16/3/99, Corte Cass. Sez. III n. 3096 del

   30/3/99, Corte Cass. Sez. I n.12507 del 11/11/99, Corte Cass. n.1281 del  1/2/02, Corte

   Cass. Sez. I n. 4490 del 28/2/02, Corte Cass. n. 14091 del 21/10/02, Corte Cass. Sez. III

   n.17813 del 18/9/02, Corte Cass. Sez. III n. 8442/02, Corte Cass. Sez. III n.  2593 del

   20/2/03, Corte Cass. Sez. I, n. 12222 del 20/8/03, Corte Cass. Sez. I, n.13739 del  18/9/03,

   Corte Cass. Sez. III n. 3805 del 25/2/04, Corte Cass. Sez. Lavoro n. 12868 del 12/7/04,

   Corte Cass. Sez. Lavoro n. 5155 del 12/3/04, Corte Cass. Sez. Unite Civili n. 21095 del

    4/11/04, Corte Cass. Sez. I, n.4095 del 25/2/05, Corte Cass. Sez. I, n. 10127 del 14/5/05.

▪ Usura:  Corte Costituzionale n. 29 del 25/2/02; Corte  Cass. Sez. I n. 5286 del 2/4/00,

   Corte  Cass. Sez. I n. 14899 del 17/11/00.

▪ Decorrenza prescrizione: Corte  Cass. Sez. I n. 3783 del 14/4/98, Corte  Cass. Sez. I

   n. 5720 del 23/3/04, Corte Cass. Sez. Sez. I, n. 10127 del 14/5/05.

▪ Commissioni di Massimo Scoperto: Tribunale di Mantova: Giudice Bernardi, sent. del

   16/1/04, Giudice Pagliuca, sent. del 3/2/04, Giudice Bettini, sent. del 10/9/04, C.App.

   Lecce, 27/6/00, Presidente Lamorgese e 2/7/01, Presidente Corallo, Tribunale di Milano

  Giudice Raineri n. 8896 del 29/6/02,Tribunale Civile di Lecce n.1736 del 14/4/03.

▪ Copia della documentazione: Corte  Cass. Sez. I n 4519 del 9/5/94, Corte  Cass. Sez. I n.  

   4598 dl 25/5/97,  Corte Cass. Sez. I n. 11733 del 19/10/99, Corte Cass. Sez. I n. 12093 del

   27/9/01, Corte Cass. Sez. I n. 11004 del 12/5/06

3. Anatocismo.

L’anatocismo è la produzione di interessi su interessi e consiste nella capitalizzazione periodica degli interessi dovuti per un determinato capitale.

L’anatocismo è ordinariamente vietato dall’art. 1283 c.c. il quale prevede che gli interessi sugli interessi, in mancanza di usi contrari, sono ammissibili solo dal giorno della domanda giudiziale o per una convenzione successiva alla loro scadenza, e solo se si tratti di interessi dovuti per almeno 6 mesi.

Gli usi cui fa riferimento l’art. 1283 c.c. è universalmente ritenuto debbano essere normativi[3]: vengono esclusi quindi sia gli usi negoziali sia gli usi interpretativi.

La giurisprudenza di legittimità per lungo tempo aveva ritenuto legittimi gli interessi anatocistici richiesti nei rapporti bancari, ravvisando nel comportamento delle banche un uso di rango normativo e quindi derogatorio delle disposizioni dell’art. 1283 c.c..

A partire dal 1999 con tre famose sentenze (Corte Cass. Sez. I n. 2374 del 16/3/99, Corte Cass. Sez. III n. 3096 del 30/3/99, Corte Cass. Sez. I n.12507 dell’11/11/99), la Corte di Cassazione ha radicalmente modificato il proprio orientamento, affermando la natura negoziale e non normativa dell’uso posto a giustificazione della capitalizzazione trimestrale praticata dalla banche[4]. Successivamente la Cassazione è tornata più volte sull’argomento (Corte Cass. n. 1281 del 1/2/02, Corte Cass. Sez. I n. 4490 del 28/2/02, Corte Cass. n. 14091 del 21/10/02, Corte Cass. Sez. I n. 12222 del 20/8/03, Corte Cass. Sez. I n.13739 del 18/9/03 e Corte Cass. Sez. Unite n. 21095 del 4/11/04) ribadendo la nullità della clausola di addebito trimestrale sui conti correnti bancari[5].

L’art. 1284 c.c. prevede che gli interessi superiori alla misura legale devono essere determinati per iscritto, altrimenti sono dovuti nella misura legale. La legge n. 154/92 ed il T.U.B. d. lgs. n. 385/93 hanno poi sancito la nullità di clausole di mero rinvio agli usi di piazza, per la determinazione dei tassi di interesse e di ogni altro prezzo e condizione, prevedendo, per gli interessi, un meccanismo di integrazione riferito ai BOT.

Secondo l’orientamento giurisprudenziale oggi prevalente, risultando nulle – anche per i contratti stipulati prima dell’entrata in vigore della legge n. 154/92 – le clausole che non prevedono una specifica pattuizione scritta del tasso di interesse, ne consegue l’applicazione dell’interesse legale ex art. 1284 c.c.. Viene però applicata la nuova disciplina e quindi il tasso previsto dall’art. 5 della legge n. 154/92 e dall’art. 117 del T.U.B. 385/93[6] per le obbligazioni sorte successivamente, anche se il contratto é stato stipulato prima dell’entrata in vigore di dette norme.

Agli interessi così determinati viene applicata, secondo un orientamento giurisprudenziale prevalente, la capitalizzazione annuale, in considerazione della corrispondente cadenza prevista ordinariamente dalla banca per gli interessi a credito, e conformemente alla cadenza temporale “ex lege” degli interessi, ricavabile dal disposto dell’art. 1284 c.c..

Secondo un diverso orientamento giurisprudenziale, alla nullità dell’anatocismo trimestrale non è consentito sostituire alcuna altra forma di capitalizzazione composta, in quanto l’art. 1283 c.c. dispone l’illegittimità di qualunque interesse su interesse, al di fuori delle ipotesi specifiche previste. Pertanto gli interessi riconosciuti alla banca saranno soltanto quelli semplici (Corte di Appello di Torino n. 64 del 21/1/02, Tribunale di Brindisi 13/5/02, Corte di Appello di Milano n. 1142 del 4/4/03).

Il legislatore è successivamente intervenuto con il d.lgs. n. 342/99 (art. 25) demandando al CICR le modalità e i criteri per la produzione di interessi su interessi sulle operazioni bancarie. Il CICR è prontamente intervenuto con Delibera 9/2/00 rimettendo alle parti, nei contratti di conto corrente, la determinazione della periodicità degli interessi, ma disponendo la stessa periodicità sia per gli interessi a credito che per quelli a debito.

L’anatocismo viene praticato oltre che sui conti correnti anche sui mutui ordinari. Solitamente le banche usano calcolare gli interessi di mora non sulla quota capitale impagata ma sull’intero importo della rata, generando una produzione di interessi su interessi. Già in passato la Cassazione si era pronunciata su questa forma di anatocismo, stabilendo che la pattuizione intervenuta preventivamente all’atto della stipula del mutuo con la quale si prevede la corresponsione di interessi di mora sulle rate scadute e non pagate già comprensive degli interessi corrispettivi, costituisce violazione del divieto di anatocismo, secondo la disciplina dettata dall’art. 1283 c.c..

Più recentemente, con Sentenza n. 2593 del 20/2/03 la Cassazione (Sez. III) ha ribadito che “in ipotesi di mutuo per il quale sia previsto un piano di restituzione differito nel tempo, mediante pagamento di rate costanti comprensive di parte del capitale e degli interessi, questi ultimi conservano la loro natura e non si trasformano invece in capitale da restituire al mutuante, cosicché la convenzione, contestuale alla stipulazione del mutuo, la quale  stabilisca che sulle rate scadute decorrano gli interessi sull’intera somma integra un fenomeno anatocistico, vietato dall’art. 1283 c.c.”.

Risulterebbe invece legittimo l’anatocismo applicato ai mutui fondiari posti in essere prima del T.U. bancario d. lgs n. 385/93, risultando questo previsto dalla legge[7] (Corte Cass. Sez. III n. 2593 del 20/2/03). Infatti il menzionato T.U. bancario, all’art. 161, lascia invariata, per i contratti in essere alla data di entrata in vigore (1/1/94), la precedente normativa. Mentre, non prevedendolo più esplicitamente, l’anatocismo risulta escluso per i mutui fondiari successivi all’1/1/94[8].

Occorre inoltre richiamare, per entrambe le tipologie di mutui sopra menzionate, la Delibera del CICR 9/2/00. In forza dei poteri attribuiti dall’art. 120 del d. Lgs n. 385/93, come modificato dall’art. 25 del D. Lgs. n. 342/99, il CICR ha stabilito le modalità per la produzione di interessi sugli interessi sulle operazioni bancarie: in particolare, nelle operazioni di finanziamento rimborsate mediante rate temporali predefinite, in caso di inadempimento, se contrattualmente stabilito, è consentito l’anatocismo, cioè la mora sull’intera rata (compresa la quota interessi), seppur senza alcuna capitalizzazione. Pertanto, a partire dal 20/4/00 (data di entrata in vigore della Delibera), l’anatocismo è stato nuovamente reintrodotto, questa volta su ogni forma di finanziamento con piano di rimborso rateale.

Giova, da ultimo, menzionare la novità interpretativa introdotta dalla nuova sentenza della Corte di Cassazione (Sez. I n. 20449 del 21/10/05) in merito all’anatocismo dopo la risoluzione per inadempimento dei contratti di finanziamento: oggetto della sentenza riguarda un caso di mutuo fondiario ma il principio addotto dalla Suprema Corte è estensibile ad ogni operazione di finanziamento rimborsabile tramite rate periodiche.

Le banche, di norma, successivamente alla risoluzione dei contratti di mutuo, determinano l’ammontare oggetto di precetto, sull’importo delle rate a scadere, le quali  ricomprendono anche la quota interessi, alle quali poi vengono applicati gli interessi di mora.

La sentenza in parola stabilisce che, quando la banca mutuante, a seguito dell’inadempimento del mutuatario, intima il precetto per ogni suo credito, comprensivo del capitale residuo, attiva la clausola risolutiva. Con la risoluzione del contratto, afferma la Corte, si anticipa la scadenza dell’obbligazione di rimborso del capitale a cui segue, nel caso di ulteriore ritardo nel rimborso, l’applicazione degli interessi di mora al tasso convenuto in contratto. Tali interessi vanno calcolati, oltre che sulle rate scadute, sul capitale residuo e non già sulle rate a scadere, che, comprendendo sia la quota capitale che la quota interessi, configurerebbero una forma di anatocismo non più giustificato dall’eliminazione del beneficio della dilazione per il debitore.

Pertanto la sentenza in parola, nel ribadire l’anatocismo legale per le rate scadute (consentito dall’art. 14, secondo comma, D.P.R. N. 7/1976 e, in precedenza, dall’art. 38, secondo comma, T.U. del 1905), ne esclude, nel caso di risoluzione del contratto di mutuo, l’applicazione alla rate a scadere; dopo la risoluzione del contratto occorre, invece, far riferimento al capitale residuo sul quale però viene applicato il tasso convenzionale (mora) e non già il tasso legale[9].

Occorre infine osservare che frequentemente le operazioni bancarie sono poste in essere su moduli predisposti dall’Associazione Bancaria Italiana, che configurano, per taluni aspetti, un accordo di cartello, vietato dagli artt. 1 e 2 della legge “Antitrust” 287/90. La Cassazione (N. 2374 del 16/3/99) ha sollevato ampie perplessità riguardo a norme bancarie la cui validità, per altro, in relazione alla disciplina comunitaria e interna alla concorrenza, è stata, per taluni aspetti non secondari, messa in discussione dalla stessa autorità di vigilanza. In una successiva sentenza (N. 3096 del 30/3/99), la Cassazione censura l’anatocismo trimestrale “compreso in moduli predisposti dalle banche, in conformità con le direttive dell’associazione di categoria, non suscettibili di negoziazione individuale e la cui sottoscrizione costituisce al tempo stesso presupposto indefettibile per accedere ai servizi bancari”.

4. La legge n. 108/96.

Con l’introduzione del disposto legislativo n. 108/96 viene posto un limite oltre il quale gli interessi vengono sempre considerati usurai. Per la determinazione del tasso la legge dispone che si tenga conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate all’erogazione del credito. Al Ministro del Tesoro viene demandata la pubblicazione trimestrale del limite d’usura.

Il primo decreto contenente le rilevazioni dei tassi medi è stato emanato dal Ministro del Tesoro il 22/3/97[10], per cui la legge, in realtà, è efficace solo da questa data[11]. Le conseguenze dell’usurarietà sono stabilite dall’art. 1815 c.c., come modificato dalla legge 108/96, che prevede che qualora siano convenuti interessi usurari la clausola è nulla e non è dovuto alcun interesse.

La giurisprudenza prevalente, tuttavia, non ritiene applicabile sic et simpliciter  l’art. 1815 c.c.: ciò comporterebbe effetti giudicati troppo penalizzanti.

Secondo alcune pronunce andrebbe applicato l’interesse legale, considerando nulla ma non illecita la clausola relativa al tasso d’interesse e, quindi, applicando l’art. 1284 comma 3° c.c. secondo cui, in difetto di una diversa e valida pattuizione gli interessi sono dovuti al tasso legale (cfr. Tribunale di Milano, 13/11/97).

Secondo altri, invece, si deve operare una sostituzione legale di clausole ai sensi dell’art. 1339 c.c.; tale norma prevede che le clausole imposte dalla legge sono inserite di diritto nel contratto anche in sostituzione di clausole difformi previste dalle parti, per cui nella fattispecie in esame andrebbe applicato il tasso soglia previsto dalla L. n. 108/96.

Nei primi anni di applicazione della legge si è subito posto il problema della individuazione del momento a cui far riferimento per la qualificazione del carattere usurario degli interessi. Al riguardo è intervenuto il legislatore che, con la legge n. 24/01, ha stabilito che si intendono usurari gli interessi che superano il limite nel momento in cui sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal loro pagamento[12].

Va inoltre osservato che i tassi soglia previsti dalla legge n. 108/96 si applicano a qualunque forma di interessi, ivi compresi quelli moratori. Eventuali dubbi risultano di fatto fugati dalla Sentenza n. 29/02 della Corte Costituzionale in cui si afferma espressamente: “Va in ogni caso osservato – ed il rilievo appare in sé decisivo – che il riferimento, contenuto nell’art. 1, comma 1, del decreto-legge n. 394 del 2000, agli interessi "a qualunque titolo convenuti" rende plausibile – senza necessità di specifica motivazione – l’assunto, del resto fatto proprio anche dal giudice di legittimità, secondo cui il tasso soglia riguarderebbe anche gli interessi moratori.”.[13]

Permangono talune perplessità per quegli interessi di mora che, seppur convenuti precedentemente alla legge n. 108/96 risultano variabili in funzione del riferimento al tasso fissato dal Ministero del Tesoro. Nella circostanza che detti interessi di mora, così determinati, vengano a superare il tasso soglia, questi comunque potrebbero – ai sensi dell’art. 1384 c.c. – essere ricondotti ad equità dal giudice che utilizza, in questo caso, il tasso soglia solo come parametro di valutazione.

5. Decorrenza della prescrizione.

Due tesi prevalgono nella giurisprudenza[14]:

i) la prima tesi è che siano oggetto di ripetizione i soli interessi addebitati nei dieci anni che precedono la domanda giudiziale del cliente. Secondo questa tesi la data di decorrenza del diritto coincide con quella in cui il diritto di ripetizione è sorto, la quale coincide con il momento in cui è stata eseguita la prestazione indebita della cui ripetizione si parla. Rileva pertanto la data di ciascun addebito degli interessi in conto corrente, indipendentemente che la nullità del titolo in forza del quale essa è stata eseguita sia accertata e dichiarata successivamente.

ii) la seconda tesi è che siano oggetto di ripetizione tutti gli interessi addebitati per l’intera durata del rapporto, alla sola condizione che la domanda di ripetizione sia proposta entro il termine di dieci anni dalla chiusura del rapporto. La tesi si basa su una massima della Cassazione del 9/4/84 n. 2262: “Il momento iniziale del termine di prescrizione decennale per il reclamo delle somme indebitamente trattenute dalla banca a titolo di interessi su un’apertura di credito in conto corrente (nella specie: perché calcolati in misura superiore a quella legale senza pattuizione scritta), decorre dalla chiusura definitiva del rapporto, trattandosi di un contratto unitario che dà luogo ad un unico rapporto giuridico, anche se articolato in una pluralità di atti esecutivi, sicché è solo con la chiusura del conto che si stabiliscono definitivamente i crediti e i debiti delle parti tra loro”. 

Questa massima è stata ribadita più recentemente dalla Cassazione (Sez. I n.3783 del 14/4/98, Sez. I n. 5720 del 23/3/04 e, più recentemente Corte Cass. Sez. I, n. 10127 del 14/5/05).

Occorre per altro osservare che secondo il principio cardine che presiede l’onere della prova, le parti devono produrre i contratti e tutta la documentazione necessaria a provare i propri diritti. Frequentemente è la banca che rivendica il saldo del conto corrente e laddove le clausole e condizioni di contratto non siano conformi alle disposizioni del T.U.B. e/o siano viziate da anatocismo trimestrale, spettando alla banca l’onere di provare il credito, l’eventuale assenza di documentazione pregressa comporta di necessità un saldo di partenza pari a zero (cfr. Trib. Pescara, 18/11/05, giudice L. Falco, Corte d’Appello Lecce, ordinanza 26/3/04, Trib. Lucera n. 30/06, giudice S. Celentano).

6. Le Commissioni di Massimo Scoperto.

Più recentemente, con l’apprezzabile flessione dei tassi di interesse, le Commissioni di Massimo  Scoperto, utilizzate dalle banche nelle aperture di credito,  hanno assunto una rilevanza significativa nella determinazione del costo del credito.

La Commissione di Massimo Scoperto (C.M.S.) è definita come il corrispettivo richiesto per il servizio, fornito dalla banca, di fronteggiare, in ogni momento, una rapida espansione nell’utilizzo dello scoperto del conto. Tale compenso viene calcolato in misura percentuale sullo scoperto massimo verificatosi nel periodo di riferimento[15].

Mentre taluni, nel ritenere le C.M.S. il corrispettivo per il maggior rischio che la banca assume in conseguenza dell’utilizzo del fido, considerano tale commissione una forma integrativa dell’interesse, altri ne sostengono la diversa natura, oltre che il diverso sistema di calcolo.

Originariamente la Commissione era ragguagliata al fido concesso, indipendentemente dall’utilizzo dello stesso, quale remunerazione alla banca per le somme messe a disposizione. Successivamente, con l’Accordo bancario del ’53, la Commissione è stata ragguagliata all’utilizzo, anziché alla disponibilità. Questo diverso impiego del sistema di riferimento ha significativamente accostato la natura della Commissione a quella dell’interesse; permane comunque una differenziazione, risultando la Commissione stessa commisurata all’importo utilizzato ma non al tempo di utilizzo.

Le due distinte interpretazioni vengono richiamate nell’unica sentenza di legittimità sul tema; afferma la Corte: “o tale commissione è un accessorio che si aggiunge agli interessi passivi – come potrebbe inferirsi anche dall’esser conteggiata, nella prassi bancaria, in una misura percentuale dell’esposizione debitoria massima raggiunta, e quindi sulle somme effettivamente utilizzate, nel periodo considerato – che solitamente è trimestrale – e dalla pattuizione della sua capitalizzazione trimestrale, come per gli interessi…., o ha una funzione remunerativa dell’obbligo della banca di tenere a disposizione dell’accreditato una determinata somma per un determinato periodo di tempo, indipendentemente dal suo utilizzo, come sembra preferibile ritenere anche alla luce della circolare della Banca d’Italia del primo ottobre 1996 e delle successive rilevazioni del c.d. tasso soglia, in cui è stato puntualizzato che la commissione di massimo scoperto non deve essere computata ai fini della rilevazione dell’interesse globale di cui alla legge n. 108/96 ed allora dovrebbe essere conteggiata alla chiusura definitiva del conto”.[16] In ogni caso, si argomenta nella sentenza del Tribunale di Mantova (Giudice Bettini, 10/9/04), trattandosi di clausola contrattuale essa deve essere espressamente prevista dalle parti nel regolamento complessivo del loro assetto di interessi.

Pertanto, nelle ipotesi di assenza di una specifica clausola contrattuale relativa alle C.M.S., con conseguente determinazione rimessa agli usi di piazza, la più recente giurisprudenza (C. App. Lecce, 27/6/00, Presidente Lamorgese e 2/7/01, Presidente Corallo, chiamata a pronunciarsi sulla contrattualistica ante legge 154/92, Tribunale di Milano Giudice Raineri N. 8896 29/6/02, Tribunale di Mantova Giudice Bernardi, 16/1/04) ha rilevato la nullità delle C.M.S., argomentando che, ove si accedesse alla tesi che essa sia estranea agli interessi, la sua previsione non sarebbe giustificata ex art. 1346 c.c. e comunque si esclude che il correntista possa essere obbligato a qualsivoglia onere che non sia specificatamente indicato e che derivi al contrario da usi esterni al contratto.

7. Copia della documentazione

Come è noto l’art. 119, 4° comma del T.U.B. prevede che “Il cliente, colui che gli succede a qualunque titolo e colui che subentra nell’amministrazione dei suoi beni hanno diritto di ottenere, a proprie spese, entro un congruo termine e comunque non oltre novanta giorni, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni”. Talvolta le banche, cogliendo un’interpretazione strutturalmente letterale della norma, non accolgono le richieste avanzate dalla clientela che presentano una qualche forma di genericità e non siano riferite ad una ben circostanziata ed individuata operazione; la richiesta ad esempio di copia del contratto e della documentazione di conto riferita ad un periodo temporale specificato, viene spesso, dalla banca disattesa, adducendo appunto vizi di eccessiva genericità della richiesta stessa.

Al riguardo la Corte di Cassazione, con più sentenze – nel ’94 (Corte Cass. Sez. I n.4519 del 9/5/94), nel ’97 (Corte Cass. Sez. I n.4598 del 22/5/97) e nel ’99 (Corte Cass. Sez. I n.11733 del 19/10/99), nel ’01 (Corte Cass. Sez. I n.12093 del 27/9/01) e da ultimo nel ’06 (Corte Cass. Sez. I n. 11004 del 12/5/06) ha chiaramente censurato tali comportamenti.

Al di là del disposto dell’art. 119 del T.U.B., il diritto all’acquisizione della documentazione relativa al rapporto bancario, trova fondamento nel principio di buona fede, che è clausola generale di interpretazione e di esecuzione del contratto e fonte di integrazione della regolamentazione negoziale, ai sensi degli art. 1366, 1375, 1374 c.c.. Per altro il diritto alla documentazione si configura quale diritto autonomo che, pur derivando dal contratto, è estraneo alle obbligazioni tipiche che ne costituiscono lo specifico contenuto: esso nasce dall’obbligo di buona fede, correttezza e solidarietà – principio costituzionalizzato (art. 2 Costituzione) -  che è accessorio di ogni prestazione dedotta in negozio e consente alla parte interessata di conseguire ogni utilità programmata, anche oltre quelle riferibili alle prestazioni convenute, comportando esso stesso una prestazione cui ognuna delle parti è tenuta in quanto imposta direttamente dalla legge (art. 1374 c.c.)[17]

La norma disposta dal 1° e 2° comma dell’art. 119 del T.U.B. contempla una obbligazione della banca, a prescindere da richieste del cliente, la norma disposta dal 4° comma presuppone una specifica richiesta, ma entrambe si collocano nel più ampio diritto alla documentazione nelle fasi di nascita, evoluzione e conclusione del rapporto.

L’obbligo di correttezza e solidarietà – ribadisce la Corte di Cassazione (n. 12093/01) – non si estingue sino a quando permane l’interesse all’informazione in capo all’avente titolo, il quale, se ne ha già fruito, è tenuto, oltreché a sostenere il costo aggiuntivo della reiterazione, a dimostrare la ragione per la quale quell’interesse residua (ad esempio per sottrazione o smarrimento dei documenti) affinché non si configuri un abuso del diritto. In merito al costo, in un altro passo della sentenza, si fa espresso riferimento al “costo materiale”.

La Corte di Cassazione ha voluto escludere che l’invio periodico degli estratti conto ai sensi del 2° comma dell’art. 119 del T.U.B. implichi e giustifichi rifiuti della richiesta effettuata ai sensi del 4° comma dello stesso articolo per il solo fatto che la richiesta non abbia ad oggetto singole operazioni ma riguardi tutte le operazioni avvenute in un determinato periodo di tempo.

Ciò – ha ulteriormente precisato la più recente Corte di Cassazione (n.11004/06) – frustrerebbe la disciplina normativa che, avendo inteso, sin dalla legge 154/92, dettare regole specifiche sulla trasparenza delle condizioni contrattuali delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari, va interpretata, alla luce del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto (art. 1375 c.c.), nel senso di attribuire al cliente della banca, o al suo successore a qualunque titolo e a chi subentra nell’amministrazione dei suoi beni, il diritto di ottenere la documentazione inerente a tutte le operazioni del periodo a cui il cliente sia in concreto interessato, nel rispetto del limite di tempo decennale dalla stessa norma fissato. Il dovere di buona fede e solidarietà – aggiunge la Corte – consente di limitare l’onere di indicazione a carico del richiedente agli elementi minimi indispensabili per permettere alla banca l’individuazione di tali documenti (così anche la Corte di Cassazione n.4598/97) quali, ad esempio i dati concernenti il soggetto titolare del rapporto, il tipo di rapporto cui è collegata la richiesta e il periodo di tempo entro il quale le operazioni da documentare si sono svolte.

Bibliografia:

[1] Testo dell’intervento tenuto il 18 febbraio ’06 al Convegno Nazionale su: “Criminalità Economica: implicazioni sociali in Italia e in Europa”. Sala della Provincia. Milano (successivamente modificato in data 30 giugno ’06)

[2] Eurobarometro (2004). Public opinion in Europe: Financial Services.

[3] Gli usi normativi consistono nella ripetizione generale, uniforme, costante, frequente e pubblica di un determinato comportamento, accompagnato dalla convinzione che si tratti di comportamento giuridicamente obbligatorio e cioè conforme ad una norma che già esiste o che si ritiene che debba fare parte dell’ordinamento.

[4] Occorre distinguere il conto corrente ordinario per il quale è legittimo l’anatocismo dal conto corrente bancario. Nel conto corrente ordinario è prevista (art. 1831c.c.) la facoltà per le parti di stabilire la data di chiusura del conto e conseguentemente il saldo, comprensivo degli interessi, se non viene chiesto il pagamento costituisce la prima rimessa del nuovo conto, sul quale decorrono nuovi interessi. Non è possibile l’assimilazione del conto corrente bancario al conto corrente ordinario in quanto: i) l’art. 1857 c.c. richiama le norme applicabili, senza tuttavia menzionare gli artt. 1823, 1825 c.c. e soprattutto l’art. 1831 c.c. che presuppone l’inesigibilità del saldo prima della chiusura, mentre l’art. 1852 c.c., con riferimento al conto corrente bancario prevede la disponibilità del saldo in qualsiasi momento; ii) la cadenza dell’estratto conto bancario, prevista dall’art. 119 del Testo Unico bancario, è annuale o,  a scelta del cliente, mensile, trimestrale, semestrale.

[5] Anche precedenti sentenze della Cassazione avevano disconosciuto la qualità di uso normativo alle regole di comportamento delle banche. Queste ultime hanno sempre esercitato una funzione determinante nella formazione, rilevazione e raccolta degli usi presso le Camere di Commercio. Più che di usi si tratta di norme bancarie uniformi, nelle quali la clientela non concorre minimamente alla formazione (cfr. Cassazione N. 795 del 4/5/68, N. 864 del 8/5/65, N. 1130 del 22/2/79, N. 5815 del 15/6/94).

[6] Quest’ultimo articolo prevede espressamente che, in caso sia assente l’indicazione di un tasso di interesse o in presenza di clausole di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse, si applicano: il tasso nominale minimo e quello massimo dei BOT annuali emessi nei dodici mesi precedenti, rispettivamente per le operazioni attive e per quelle passive.

La definizione di operazioni attive e passive vengono definite, nei manuali di tecnica bancaria, con riferimento alla banca. La Banca d’Italia nelle sue statistiche, come anche nelle istruzioni di vigilanza impartite alle banche, ricomprende fra le operazioni attive – come anche per i tassi attivi – quelle che sono effettuate a debito del cliente e che apportano alla banca una componente attiva di reddito, mentre ricomprende fra le operazioni passive quelle a credito del cliente.

D’altra parte il successivo art. 124 del T.U.B., con riferimento ai contratti di credito al consumo, prevede, nei casi di assenza o nullità delle clausole contrattuali, il TAEG (Tasso Annuo Effettivo Globale) – tasso attivo a favore della banca - equivalente al tasso nominale minimo dei BOT annuali emessi nei dodici mesi precedenti. Nelle fattispecie previste dalla legge l’applicazione del tasso minimo BOT agli interessi a debito del cliente persegue chiaramente una finalità sanzionatoria (così si è espresso il Tribunale di Mantova, giudice M. Bernardi, 16/1/04, giudice L. Pagliuca, 3/2/04 e giudice L. Bettini, 10/9/04).

 

[7] L’art. 38 del R.D. N. 646/05 (T.U. del credito fondiario), diversamente da quanto accade nel credito ordinario, attesta l’esistenza di normativa anteriore al codice civile del ’42 che legittima la deroga al divieto di anatocismo ex art. 1283 c.c. (“…il pagamento di interessi, annualità, compensi, diritti di finanza e rimborsi di capitali dovuti non può essere ritardato da alcuna opposizione. Le somme dovute per tali titoli producono di pieno diritto interessi dal giorno della scadenza”).

[8] La diversa posizione assunta dalla giurisprudenza di legittimità, nei confronti dell’anatocismo dei mutui ordinari e di quelli fondiari è stata fatta propria dalla prassi giudiziaria del Tribunale di Roma che, nelle istruzioni relative alle CTU contabili, nel distinguere i mutui bancari da quelli fondiari riconosce la distinzione sopra riportata. Infatti con riferimento ai mutui fondiari si precisa che: “……..  si deve distinguere tra contratti stipulati anteriormente al 1° gennaio 94 e contratti stipulati successivamente. Per i primi la norma a cui far riferimento è quella dell’art. 38 del Regio Decreto 1905, n. 646: deve pertanto considerarsi ammissibile la richiesta di interessi anatocistici per tale tipologia di contratti. Per i secondi invece, giacché la norma citata non è stata riprodotta nel D. lgs n. 385/93 deve ritenersi applicabile la medesima disciplina prevista per i contratti di mutuo ordinario. (scomputando, dall’eventuale somma richiesta gli interessi moratori computati sulla quota parte della rata scaduta relative agli interessi convenzionali Cfr Allegato 20).

[9] Si osservi che il beneficio che ne consegue al mutuatario dal venir meno dell’anatocismo risulta, di norma, ben inferiore al maggior carico di interessi di mora che vengono a gravare, sin dal momento della risoluzione, sul capitale residuo a fronte di quelli che attualmente applicano le banche sulle rate future alle relative scadenze.

[10]  Nell’ Allegato 19 sono riportate le soglie di usura disposte dal Tesoro (ora Ministero dell’Economia e delle Finanze) dal 1997 al primo trimestre 2006.

[11] Per i contratti di mutuo stipulati dopo l’entrata in vigore della legge 108/96 ma prima della rilevazione trimestrale del Tesoro, si ritiene che occorra far riferimento al precedente concetto di usura e quindi alla presenza degli elementi soggettivi previsti dalla norma anteriore alla legge 108/96.

[12] Per i contratti di mutuo a tasso fisso stipulati prima della legge 108/96 ed in essere al momento dell’entrata in vigore della legge n. 24/01 vale la sostituzione (ove più favorevole) con il tasso previsto  dalla legge n. 24/01 per le rate in scadenza a partire dal ’01 (8% per le case non di lusso, 9,96% per le altre).

[13] L’ABI, in una recente Circolare (Prot. LG/004691 del 25/9/03) - prendendo spunto dai Decreti del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 25 marzo e 23 giugno ‘03 precedenti i quali, nel rilevare le soglie di usura, riportavano che la maggiorazione stabilita contrattualmente per i casi di ritardato pagamento era pari al 2,1% - propone agli Associati un parere pro-veritate della Prof.ssa Severino di Benedetto nel quale si ritiene corretto individuare il tasso soglia degli interessi moratori nella percentuale pari a quella rilevata per gli interessi corrispettivi, maggiorata di 2,1 punti percentuali, aumentata del 50%.

[14] E’ escluso il termine abbreviato quinquennale, previsto dall’art. 2948 c.c. in quanto non viene richiesto il pagamento di interessi ma la ripetizione di un indebito, per la quale è previsto il termine ordinario.

[15] A questa definizione si richiamano le Istruzioni per la rilevazione del Tasso Effettivo Globale Medio (legge n. 108/96) della Banca d’Italia.

[16] Recentemente la Banca d’Italia, con nota del 2/12/05, si è occupata delle Commissioni di Massimo Scoperto con riferimento alle soglie di usura, suggerendo agli intermediari uno schema operativo per valutare l’impatto dell’applicazione delle Commissioni di Massimo Scoperto sulle condizioni complessivamente praticate. In tale schema, per la verifica del rispetto delle soglie di legge si richiede:

i) il calcolo del tasso in concreto praticato – sommando gli interessi rapportati ai numeri debitori e gli oneri in percentuale dell’accordato – e il raffronto di tale tasso con la relativa soglia di legge;

ii) il confronto tra l’ammontare percentuale della C.M.S. praticata e l’entità massima della C.M.S. applicabile (cd. C.M.S. soglia), desunta aumentando del 50% l’entità della C.M.S. media pubblicata nelle tabelle.

Peraltro – si fa presente nello schema – l’applicazione di Commissioni che superano l’entità della “C.M.S. soglia” non determina, di per sé, l’usurarietà del rapporto, che va invece desunta da una valutazione complessiva delle condizioni applicate. A tal fine, per ciascun trimestre, l’importo della C.M.S. percepita in eccesso va confrontato con l’ammontare degli interessi (ulteriori rispetto a quelli in concreto praticati) che la banca avrebbe potuto richiedere fino ad arrivare alle soglie di volta in volta vigenti (“margine”). Qualora l’eccedenza della Commissione rispetto alla “CMS soglia” sia inferiore a tale “margine” è da ritenere che non si determini un supero delle soglie di legge (Cfr Allegato 21).

[17] Configurandosi come un diritto primario, non strumentale, alla consegna dei documenti, può essere oggetto di un giudizio del Tribunale esso stesso volto a conseguire un’azione di condanna ad un obbligo di dare e pertanto suscettibile anche di esecuzione forzata. La richiesta di un decreto ingiuntivo per la consegna dei documenti appare la più adeguata.

 

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Autore: Roberto Marcelli


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