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FATTISPECIE NEGOZIALE, AMBITO DI OPERATIVITA', LIMITI DELLA DISCIPLINA ITALIANA. (III PARTE) |
1. L'emanazione della legislazione interna sul credito al consumo, coeva a quella sulla trasparenza bancaria (portata dalla legge n. 154 del 17 febbraio dello stesso 1992), è subito segnata da problemi di coordinamento con quest'ultima. Giova ricordare che il quinto comma dell'art. 21 della legge 142/1992 sul credito al consumo disponeva che "fino all'adozione di una disciplina nazionale sulla trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari di contenuto almeno equivalente a quello stabilito dal presente comma...agli effetti della protezione del consumatore, i contratti con cui un ente creditizio o una società finanziaria concedono ad un consumatore un'apertura di credito in conto corrente non connessa all'uso di una carta di credito devono almeno contenere...le seguenti indicazioni"...omissis... (corsivi dell’autore). Ma proprio il fatto che la legge sulla trasparenza fosse stata approvata e promulgata anteriormente a quella sul credito al consumo, ma pubblicata successivamente in Gazzetta Ufficiale, aveva determinato problemi di coesistenza delle due leggi. L’emanazione del Testo unico bancario (d. lgs. del 1° settembre 1993 n. 385) (d'ora innanzi: T.U.) pone a ciò rimedio con l'accorpamento nel Titolo VI delle due discipline, tra loro convenientemente coordinate. Il loro inserimento in un testo legislativo prevalentemente destinato a regolare l'assetto pubblicistico del credito e del risparmio ha, in qualche caso, sollecitato non marginali perplessità. Deve però osservarsi che tale disciplina ben difficilmente avrebbe potuto essere ospitata nel codice civile o, in alternativa, formare oggetto di una legge speciale ad hoc. E ciò per ragioni tanto formali (o, se si preferisce, di rigore concettuale) quanto, soprattutto, sostanziali, di effettività della tutela del risparmiatore. Sotto il primo profilo va osservato che la disciplina codicistica dei contratti bancari (art. 1834 segg. cod. civ.) ha un perimetro per un verso più ampio, per altro verso più angusto rispetto alle normative di trasparenza bancaria e di credito al consumo. E’ più ampia in quanto risulta applicabile non ai soli contratti caratterizzati dalla presenza di una banca, ma anche a contratti occasionalmente conclusi con un soggetto che non rivesta la qualità di banchiere e che faccia tuttavia ricorso ai tipi negoziali del codice civile; più angusta, molto più angusta, perché riguarda i soli contratti tipici e nominati del codice, mentre queste discipline sono di generale applicazione con riferimento a tutte le operazioni e servizi bancari (relativamente alla trasparenza), ovvero a tutti i contratti di credito al consumo come definiti dall’art. 121 T.U.. Né ricorrono ragioni che giustifichino l’adozione di leggi speciali che regolano i due istituti. Se è vero che il carattere settoriale degli interessi tutelati e la riferibilità delle disposizioni a singoli rapporti possono rappresentare motivazioni rilevanti per l’adozione di tale tecnica legislativa, non può sottacersi il fatto che le norme sulla trasparenza bancaria non costituiscono una disciplina unitaria, completa, onnicomprensiva del fenomeno né la legge sul credito al consumo introduce un nuovo tipo contrattuale.
2. Per credito al consumo – stabilisce l’art. 121, co. 1 T.U. – si intende “la concessione, nell’esercizio di un’attività commerciale o professionale, di credito sotto forma di dilazione di pagamento, di finanziamento o di altra analoga facilitazione finanziaria”. Il richiamo alla concessione del credito nelle forme indicate tradisce l’intenzione di estendere ad ogni forma di finanziamento al consumo l’applicazione delle disposizioni speciali nel divisato obiettivo di assicurare l’applicazione della disciplina a tutela del consumatore in tutte le fattispecie rilevanti. La normativa del T.U. non realizza una organica, compiuta disciplina del fenomeno ma piuttosto introduce regole comuni ai diversi schemi negoziali utilizzati per concludere operazioni di credito al consumo, additive rispetto a quelli. E’ sicuramente importante poiché pone in rilievo il collegamento negoziale tra i diversi contratti in relazione ad un’operazione economicamente unitaria. La disciplina suppone la previa conclusione del contratto, non trovando applicazione in ipotesi per le quali la erogazione del credito sia ancora allo stadio di trattativa o di contratto preliminare. La più ridotta sfera di operatività dell'ambito di applicazione della norma interna rispetto alla direttiva 87/102 - che contemplava anche la “promessa di concessione del credito - non pare, tuttavia, poter giustificare valutazioni critiche in tema di eventuale minor tutela accordata al consumatore domestico. Ove invero le parti siano ancora nella fase della trattativa, fermi gli obblighi di correttezza e buona fede del codice civile, troveranno comunque applicazione nei confronti dell'intermediario le prescrizioni in tema di pubblicità indicate dall'art. 123 T. U.. Se invece si passa a considerare la sollecitazione per il tramite di annunci pubblicitari, è necessario rifarsi al secondo comma della richiamata disposizione che stabilisce come il proponente debba indicare, oltre al tasso dell'interesse ed alle altre cifre concernenti il costo del credito, il TAEG ed il relativo periodo di validità. Ed è, per inciso, proprio in ragione di questa norma che diritto alla trasparenza delle condizioni contrattuali, costo totale del credito, tasso annuo effettivo globale (meglio noto nella forma del cennato acronimo TAEG), forma scritta, diritto di recesso, costituiscono espressioni ormai familiari, entrate a far parte del lessico corrente grazie alla cassa di risonanza fornita in proposito dai mezzi di comunicazione di massa. |
Autore: Giuseppe Carriero |
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